Gundam: Suit You Up!

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Gundam: Suit You Up!

Messaggio da Bright » 12/12/2014, 13:18

Bentrovati.
Ormai saprete tutti che amo scrivere Fanfiction su Gundam, almeno come sapete che non amo Origini, pur avendolo acquistato, letto e riletto, in quanto ritengo fallisca nel suo intento di voler "svecchiare" la saga origiinale.

Da questo mio malcontento nasce "Suit You Up!", un remake dei primi due episodi del Gundam originale, tesi a rimuovere alcune ingenuità e dare una possibile spiegazione ad altre. Fra i vari esempi, nel mio racconto trovano giustificazione cose come:
"Come mai basta un manuale ad Amuro per abbattere due Zaku?"
"Come mai Char se ne può andare in giro mascherato e nessuno gli dice niente?"
"Come mai Kai sa guidare il Guncannon?"
"Come mai dei civili riescono a far funzionare egregiamente la White Base?"
"Perché non sostituiscono da subito Amuro alla guida del Gundam?"
"Perché la WB é interamente verniciata di bianco, in un contesto in cui si combatte a vista e quindi meno si é visibili, meglio é?"
Etc etc...

Comunque, bando alle ciance e buona lettura!

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Re: Gundam: Suit You Up!

Messaggio da Bright » 12/12/2014, 13:19

I

Non fosse stato che era seduto, gli sarebbe sembrato di essere a letto, nella sua cameretta, nel bel mezzo della notte. Buio tutt'attorno. Unici rumori il suo respiro e un appena percettibile ronzìo di fondo.
Abbassò lo sguardo: la tetra luce proveniente da display e quadranti gli riconfermarono che no, non si trovava in camera sua. A pensarci bene, la sua camera non era mai stata così silenziosa. Non era mai stata così paurosa...
Il rumore gracchiante e improvviso dei disturbi statici nella sua cuffia gli gelò il sangue, ma lo scosse dal torpore di quel pensiero:
“Bersaglio in avvicinamento, ore 2, tre chilometri, velocità 220...”
Il giovane pilota tirò a sé la cloche alla sua destra, ruotando la visuale dello schermo principale: non era certo un esperto in astronomia, non avrebbe saputo distinguere le stelle che brillavano timide nello spazio lontano, ma una cosa la sapeva per certo: non esistevano stelle che si muovevano a zig-zag. Non esistevano stelle VIOLA.
“Bersaglio avvistato, confermo Zaku II agganciato col sensore TV, ingaggio!”
L'abitacolo s'inclinò paurosamente sulla destra a causa della manovra evasiva troppo stretta, intrapresa per allontanarsi dal nemico ma al contempo non perderlo di vista. Il computer di bordo disegnò un cerchio rosso sul monitor principale, in corrispondenza del bersaglio. Un sibilo sintetico risuonò in cabina.
“Ho il tono, soluzione di fuoco con Vulcan, fox four!”
Premette con decisione il tasto in corrispondenza del pollice sulla cloche di sinistra. Una raffica di proiettili traccianti, resi incandescenti dalla immensa differenza di temperatura che c'era tra essi e il vuoto cosmico, volarono silenziosi verso il nemico, strappando via alcune piastre di protezione... troppo poco per convincerlo ad abbandonare la lotta: lo Zaku riprese l'assetto di volo e puntò la sua arma principale: un fucile mitragliatore con un calibro spaventoso da 300 mm.
Con un altro scossone, l'abitacolo s'inclinò in direzione opposta, evitando la salva mortale sparata dal Mobile Suit nemico. Il simbolo sintetico di puntamento rimbalzò per tutto il monitor principale, cercando furiosamente di agganciare di nuovo il bersaglio...
Poi, tutto si spense e il ronzìo crebbe in volume e s'abbassò in tono fino a morire. Il portello anteriore si aprì e il sergente addetto all'arruolamento fece capolino.
“Impressionante, signor Ray! Adesso può uscire, la simulazione é conclusa...”
“Tutto qui?”, chiese deluso Amuro, mentre usciva dal piccolo abitacolo del simulatore di Guncannon.
“Questo simulatore serve solo a verificare l'attitudine dei candidati, non ha idea di quanti vogliano fare il pilota e poi vomitino dentro al casco non appena il Mobile Suit inizia a camminare!”, sorrise il sergente, “Mi attenda qui con gli altri e riempia i moduli per l'arruolamento, la chiamerò quando arriva il suo turno!”

“Quell'uomo mi da i brividi! ”, sentenziò Slender.
La risata di scherno del suo collega Gene echeggiò nella cuffia all'interno del suo casco.
“Si, intendo, tutte quelle cicatrici... e quella maschera, poi!”
“Concentrati sul pilotaggio, sergente, atterrare su una colonia spaziale in rotazione non é uno scherzo!”, lo redarguì bonariamente una seconda voce.
Slander controllò gli strumenti dentro l'abitacolo del suo Zaku e rispose:
“Signor-sì, sergente maggiore Denim, la distanza dalla docking bay sud di Side 7 é adesso 15 chilometri, ETA alla presente velocità: 4 minuti...”
“Così mi piaci!”, rispose Denim.
“E comunque sappi che quelle cicatrici sono valse al Maggiore Aznable una promozione di ben 3 gradi!”, aggiunse Gene.
“Credevo fosse stato promosso per le 5 Salamis che ha distrutto, praticamente da solo, a Loum...”, insistette Slander.
“Adesso basta chiacchiere”, li interruppe Denim, “ristabiliamo la formazione, coordinate la discesa con la velocità di rotazione della colonia, attivate le suole elettromagnetiche, jetpack e vernier su stand-by...”.
I tre Zaku II si allinearono l'uno al fianco dell'altro. L'inerzia li fece avanzare lentamente nello spazio nonostante i propulsori fossero spenti, mentre la forza gravitazionale generata dalla massa del gigantesco cilindro che costituiva la colonia spaziale di Side 7 li frenò non appena ne sorvolarono la verticale. A quel punto i potenti elettromagneti alloggiati nei piedi dei Mobile Suit li fecero atterrare, uno ad uno, docilmente sulla superficie metallica.

Amuro si guardò attorno e sbuffò. Era rimasto da solo. La sala conteneva unicamente la sfera di tre metri di diametro che costituiva il simulatore e una banale consolle per il controllo dall'esterno più, abbandonato in un angolo, quello che sembrava un monitor di indicazioni per turisti. Non c'era da stupirsi, quella base dell'esercito Federale era stata appena inaugurata... anzi, ufficialmente non esisteva nemmeno. Si avvicinò al monitor nell'angolo e sfiorò lo schermo. Dal monitor emerse un ologramma rappresentante la Via Lattea, mentre una voce registrata iniziò a recitare:
“Fin dall'alba della sua Storia, l'uomo ha osservato con timore e curiosità le stelle...”
Amuro agitò seccamente la mano da destra a sinistra per mandare avanti la rappresentazione. Apparve una scritta tridimensionale, “A. D. 1630”, e la foto di un uomo barbuto con un cannocchiale in mano:
“...il matematico e fisico italiano Galileo Galilei sfidò la Chiesa e la concezione eliocentrica del tempo...”, continuò la voce registrata.
Amuro agitò di nuovo la mano, apparve la scritta “A. D. 1962” e la proiezione olografica del Presidente John Fitzgerald Kennedy che parlava al Congresso: “Abbiamo scelto di andare sulla Luna non perché é facile, ma perché é difficile. Mandare un uomo sulla Luna e riportarlo sano e salvo sulla Terra entro la fine di questo decennio deve...” Amuro mosse appena la mano. L'immagine di Neil Armstrong che metteva piede sul satellite lo aveva sempre affascinato, pur essendo ormai una cosa banale: “É un piccolo passo per un uomo, ma un balzo da gigante per l'Umanità...”
Amuro agitò ancora la mano. L'ologramma adesso mostrava la data dell'A.D. 2006. Kofi Annan, segretario dell'Onu, riferiva laconicamente: “La popolazione mondiale conta oggi ben 6 miliardi e mezzo di persone, ma saremo ben 10 miliardi entro il 2050...”
Amuro skippò ulteriormente in avanti, apparve una Colonia Spaziale del tipo ad Anello, e la scritta “A. D. 2081”. Ad essa si aggiunse l'immagine di Ricardo Marcelas, Segretario della Federazione Terrestre, che sentenziò “Addio, Anno Domini... benvenuto, Universal Century”.
Istantaneamente, la scritta si resettò da 2081 a 0001, e “A.D.”venne sostituito da “U.C.”
Amuro osservò la cifra, poi agitò la mano con forza mandando la registrazione ulteriormente avanti: apparve Degwin Zabi in primo piano, coi suoi figli Girhen, Kycilia, Dozul e Garma alle spalle.
“Oggi, 2 Gennaio 0079, i 150 milioni di spazianoidi abitanti il gruppo di colonie designate come Side 3 rigettano il nome di Repubblica di Munzo imposto loro dalla corrotta elite della Federazione e dichiarano guerra al Governo Federale Terrestre, uniti in un principato e sotto la bandiera del loro grande e indimenticato leader, Zeon Zum Daykun!”
Amuro scosse la testa... agitò ancora la mano fino a visualizzare un notiziario di pochi giorni prima: un gigantesco cilindro d'acciaio s'abbatteva su una città, imbiancando lo schermo, mentre la voce del reporter sanciva che “Dopo otto mesi di guerra e metà della popolazione mondiale sterminata, ancora non é possibile identificare un vincitore o un vinto, mentre la situazione di stallo perdura fin dalla distruzione di Sydney a causa del fallito Colony Drop su Jaburo tentato dal Principato di Zeon all'inizio del conflitto...”
“Deve andare via!”, la voce del Sergente richiamò l'attenzione di Amuro.
“Signor Ray, lei non ha ancora compiuto sedici anni, quindi non é arruolabile. Inoltre, esistono delle... direttive speciali, per quelli come lei. Ecco la sua roba...”
Il sergente porse ad Amuro una sfera in plastica verde, delle dimensioni di un pallone da basket, con due LED lampeggianti su un lato e una cartellina di documenti.
“Direttive speciali?”, ripeté Amuro, mentre prendeva Haro, il suo robot di compagnia, e la cartella coi suoi documenti anagrafici.
“Esatto, signore, per cui la prego di non riprovare quand'anche avesse raggiunto l'età prevista, tra qualche settimana”
Amuro sorrise. Se lo aspettava.
“Mi creda, non c'é pericolo, sergente! Addio.”

“Non é stata una grande idea, Tem...”, sospirò il Comandante Paolo Cassius guardando attraverso le finestre della plancia di comando. Il suo interlocutore era Tem Ray, ex ufficiale del genio della EFGF, la fanteria dell'esercito federale terrestre, nonché attuale responsabile del segretissimo “Progetto V” e vecchio amico.
“Far classificare questa unità come astronave-ospedale, intendi?”, gli rispose l'ingegnere, senza distogliere lo sguardo dalla docking bay nord di Side 7, che appariva sempre più vicina.
“Già.”, confermò Cassius, “averla verniciata di bianco e rosso e averla battezzata 'White Base' non sembra aver ingannato quel Musai che ci segue da ore...”
Il Musai, era il tipo di fregata spaziale più comune in quella guerra. Ed era una nave del Principato di Zeon. Piccola, agile, dotata di tre batterie binate di cannoni a megaparticelle, lanciamissili e un hangar in grado d'ospitare ben quattro Mobile Suits modello Zaku, poteva sembrare poca cosa se confrontata alla gigantesca classe Pegasus delle forze spaziali federali di cui la White Base era il secondo esemplare ultimato ed il primo pienamente operativo. Tuttavia, nel corso degli otto mesi di guerra, il Musai e gli Zaku di Zeon avevano scardinato parecchie delle convinzioni e delle dottrine degli strateghi federali. Nessuno, a bordo della White Base, stava sottovalutando quell'incontro sfortunato. Tuttavia il fatto che ancora non avesse attaccato dava da pensare.
“Probabilmente non oserà fare la prima mossa, il Trattato Antartico vieta di sparare sulle unità ospedale”, rifletté ad alta voce Tem Ray, “forse ci sta studiando per capire se siamo davvero quel che diciamo di essere...”
“Forse hai ragione”, annuì Cassius. Ma non avrebbe saputo dire se lo fece per non contraddire l'amico o piuttosto per tranquillizzare l'equipaggio presente. Da vecchio militare qual'era, sentiva puzza di bruciato e non vedeva l'ora di attraccare su Side 7 che, almeno ufficialmente, era ancora considerato territorio neutrale come Side 6.
“Mi serve una squadra per approntare l'imbarco dei prototipi”, la voce dell'ingegnere interruppe il flusso dei pensieri dell'anziano comandante, “e vorrei anche dotare di ordigni i trattori per il trasporto, non si sa mai...”
“D'accordo”, il Comandante si voltò verso il più giovane degli operatori in plancia, “Marker, chiamami quello nuovo, il tenentino...”
“Bright, comandante?”, rispose il giovane sergente lasciando il suo posto e fluttuando leggero per l'assenza di gravità.
“Sì, lui.”

Erano giorni di reclutamento. Amuro raggiunse la hall del Centro d'Arruolamento e guardò i due settori demarcati dalle transenne. Uno, stracolmo di giovani, era la “fila dei coscritti”. L'altro, la fila dei volontari, era assolutamente vuoto. Amuro fece spallucce e s'avviò verso l'uscita. Lo sguardo gli cadde su una ragazza nella fila dell'arruolamento coattivo. Aveva un viso dolce ma bloccato in un'espressione triste e assorta... pensieri lontani che gli occhi di lei, di un blu intensissimo, facevano sembrare ancora più distanti. I suoi tratti regolari e perfetti erano incorniciati da un caschetto di capelli dorati, sottili al punto che perfino la leggerissima brezza presente in un'ambiente artificiale, quale era Side 7, bastava a farli danzare in maniera ammaliante attorno al suo viso. Lei alzò lo sguardo e fissò in risposta Amuro per un momento che parve eterno. Sembrava d'essere di nuovo nel vuoto spaziale, leggeri, liberi... come se si potesse respirare l'uno i pensieri dell'altra...

“Lasciami andare, maledetto scimmione!”
L'urlo veniva dalla porta d'ingresso. Un enorme ufficiale Afroamericano trascinava per un braccio un ragazzo mingherlino e dai capelli ribelli.
“Sottotenente Shiden, si dia un contegno!”, sbraitò il gigante.
“Sottotenente un corno, ho finito la ferma l'anno scorso!”, continuò a protestare l'altro.
“Ebbene, é stato richiamato in servizio! Siamo in guerra, abbiamo bisogno di piloti e lei é un pilota...”
“Siamo su una colonia spaziale, imbecille! TUTTI, qui, sono piloti di qualcosa!”
Scene come quelle Amuro le vedeva ogni giorno da almeno tre mesi, da quando il Poligono Sperimentale della Anaheim Electronics per cui lavorava suo padre era stato requisito dalle Forze Federali Terrestri e trasformato in Centro d'Arruolamento. Distolse lo sguardo da quel quadretto patetico e cercò di nuovo la bionda, ma era già sparita nella calca della fila.
Amuro sospirò e s'avvio verso l'uscita. Una ragazza bruna dai tratti orientali corse dentro urtandolo e facendolo cadere per terra. Haro, il suo robot, nella caduta s'accese e iniziò a rotolargli tutt'intorno mentre la sua voce sintetica ripeteva ad libitum: “Ohi, ohi! Come stai? Ohi, ohi! Come stai?”
“Scusami, ti sei fatto male?”, chiese dolcemente la ragazza, ma Amuro non ebbe il tempo di rispondere. Un uomo sulla sessantina, fasciato in un abito e un aplomb tipicamente britannici, entrò a sua volta e prese la donna per un braccio.
“Signorina Mirai, la scongiuro, se solo suo padre fosse ancora vivo...”
“Se lo fosse gliene direi di tutti i colori, Garrison, lasciami!”, Mirai si liberò con uno strattone e si diresse verso la fila vuota, quella dei volontari. L'uomo le corse dietro.
“Non é questo quello che i suoi genitori desideravano per lei...”
Mirai aveva raggiunto il banco. Un soldato addetto all'arruolamento s'era destato dal torpore della mattinata godendosi quel siparietto.
“So bene cosa volevano loro per me. Ma, almeno per questa volta, si farà a modo mio!”.
Si voltò verso il soldato, sfilò alcuni documenti dalla borsetta e li sbatté sul banco.
“Mi chiamo Mirai Yashima, ho diciotto anni e un brevetto di pilota di shuttle classe StarGlider. Voglio arruolarmi.”
Shiden strattonò l'ufficiale di colore, gli indicò la ragazza e sbottò:
“Ecco, vedi?!”
Amuro, dal canto suo, raccolse Haro e uscì dal palazzo.

Il portello di servizio della docking bay sul lato sud di Side 7 si aprì cigolando. Non era facile forzare un portello del genere con un Mobile Suit senza correre il rischio di proiettarlo a centinaia di metri di distanza, perdipiù nella zona a bassa gravità della colonia, correndo il rischio di farsi notare da tutti. Denim questo lo sapeva bene, motivo per il quale aveva insistito per operare la forzatura in prima persona col suo Zaku, piuttosto che lasciar fare ad una testa calda come Gene.
I tre Zaku svettavano al centro della parete rocciosa ricavata sul lato sud della colonia, un punto di vista invidiabile.
Denim fece in modo che il suo Zaku toccasse quelli di Gene e Slander, attivando il cosiddetto “interfono a sfioramento”, unico mezzo di comunicazione oltre ai laser che non venisse disturbato dalle particelle di scarto dei generatori a fusione dei Mobile Suit.
“Slander, tu rimarrai qui. Voglio che videoregistri qualsiasi cosa vedrai. Ricordati che questa é essenzialmente una missione di ricognizione. Intelligence. Intesi?”
“Sì, sergente maggiore!”
“Gene, tu vieni con me. Nasconderemo gli Zaku in quella pineta in basso e otterremo un punto d'osservazione ravvicinato. Potremmo ottenere anche delle intercettazioni audio, da lì.”
“Roger”
“Bene: lasciamoci cadere sfruttando la gravità crescente... attiva i vernier solo all'ultimo e solo se la velocità di discesa supera i 6 metri al secondo, ricevuto?... Tre... Due... Uno... Mark!”
I due Zaku mossero un passo oltre il dirupo naturale fornito dal punto d'ingresso, rivolgendosi leggermente verso il basso e iniziando una lentissima discesa che li avrebbe mano mano avvicinati alla superficie abitata...

Amuro, seduto su una panchina davanti al Centro d'Arruolamento, aprì il case di Haro, rivelando il computer portatile all'interno. Sul monitor c'era una chiamata videotelefonica in attesa. Amuro sospirò e aprì la comunicazione.
“Ciao Fraw, cosa c'é?”
“Co... sta storia... arr..larsi?”, gracchiò l'altoparlante, mentre sul monitor appariva, pur molto disturbata, l'immagine di una ragazza sui sedici anni dai capelli castani e i tratti europei.
“Fraw, la comunicazione é disturbata... puoi ripetere?”, implorò Amuro, avendo capito nonostante tutto l'argomento della sfuriata della ragazza.
“Hayato mi ha detto che andav.... rrolarti! Cosa t'é pr..so???”
“Nulla, Fraw, ho hackerato un simulatore di Mobile Suit dal computer di mio padre e volevo verificare quanto era veritiero... e fingere di volermi arruolare era il solo modo!”, sorrise Amuro.
Fraw apparve stupita per un attimo, poi sembrò infuriarsi ancora di più.
“E se ti.... vesser... preso??? Sarest... andato a morire in ...erra per uno.... erzo???”
Amuro sorrise di nuovo.
“Non c'é pericolo, a quanto pare mio padre ha dato ordine che ogni mia richiesta d'arruolamento venga respinta. Non mi verranno mai a cercare, non sono nemmeno sulla lista dei coscrivibili...”
Fraw scosse la testa ancora più irritata:
“Ti pare... rmale ...persone che... orrebbero sf... e tu sche....”
“Fraw, non ti ricevo bene, hai settato il videotelefono come ti avevo detto?”
“E non pro... are a pren... rmi in giro con... scusa che non... enti!” sbottò furiosa Fraw mentre la sua immagine cambiava in bianco e nero e andava distorcendosi.
“Fraw”, rispose paziente Amuro, “ti giuro che la comunicazione é disturbatissima, per cui o hai sbagliato un'altra volta a settare i parametri o...”
La comunicazione s'interruppe. Amuro realizzò cosa stava per dire... un brivido, un brivido vero stavolta, gli attraversò la schiena. Si alzò lentamente dalla panchina e si guardò intorno.
“...oppure c'é qualcuno che sta irradiando particelle Minovsky dentro Side 7!”

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Re: Gundam: Suit You Up!

Messaggio da Bright » 12/12/2014, 13:23

II

Sebbene Side 7 fosse ben lontana da essere un gruppo di colonie completo, l'area residenziale della prima colonia, denominata Green Noah, era stata ultimata da ben tre anni. Le villette a schiera, tutte identiche nel loro voler scimmiottare quelle che ancora si potevano trovare in una qualsiasi periferia americana, formavano una grande distesa di mura bianche e tetti rossi.

Amuro, che nella provincia americana c'era nato e vi aveva vissuto per quasi dodici anni, trovava quell'imitazione assurda e di pessimo gusto. Se i Sides erano la nuova frontiera per l'umanità, che motivo c'era d'aggrapparsi così ferocemente agli stilemi del passato?
Con Fraw, discutevano spesso su questo punto. Lei diceva che replicare l'ambiente terrestre era il modo migliore per far abituare le persone alla loro nuova condizione. Amuro rispondeva sempre che non era certo la forma delle case l'ostacolo da superare per abituarsi a vivere su Side 7, bensì la consapevolezza che ogni bicchiere d'acqua che si beveva era stato prodotto filtrando e raffinando l'urina di tutti gli abitanti della colonia, per non parlare della bolletta per l'aria respirabile!

Amuro fermò la sua auto elettrica davanti al garage. Fraw e Hayato stavano discutendo davanti all'ingresso di casa sua. “Questa non ci voleva”, pensò Amuro. Ogni volta che Fraw veniva a fargli visita era per perdere tempo in chiacchiere. Sebbene fosse stata la prima persona con cui avesse fatto amicizia da quando si era trasferito su Side 7, tre anni prima, da un po' di tempo si era reso conto che i loro interessi non andavano più di pari passo e la loro complicità stava affievolendosi. Non era l'unico ad essersene accorto, e la presenza sempre più frequente di Hayato non era un caso. Il “piccolo” Hayato, tutti lo chiamavano così a causa della sua statura, aveva una cotta per Fraw da quando li conosceva. Era così buffo che Fraw non se ne fosse accorta affatto e lui invece sì, rifletté Amuro mentre, stringendo Haro sotto il braccio, scavalcava con fare noncurante il muricciolo che separava il garage dal giardino di casa in modo da evitare di passare per l'ingresso e davanti ai due amici.
“Amuro!”, gridò Fraw, privando istantaneamente d'ogni attenzione Hayato.
Amuro, che già era sulla soglia di casa si voltò e si limitò a rispondere:
“Ho fretta, devo controllare una cosa!”
Ciò detto, infilò la porta e sparì dentro casa.
“Amuro, sei un maleducato!”, gridò Fraw, correndogli dietro.
Hayato allungò la mano per trattenerla e provò a dire qualcosa, ma nessuna delle due azioni gli riuscì bene: rimase per qualche secondo con una mano protesa e la bocca aperta nell'atto di iniziare a parlare, da solo, in mezzo al vialetto. Sbuffò, si rimise in spalla la borsa sportiva del dojo di judo di cui faceva parte e girò sui tacchi allontanandosi, scuro in volto.

“Tutti e tre i rimorchi sono stati equipaggiati con gli esplosivi radiocomandati, signore!”, disse il giovane ufficiale battendo i tacchi e porgendogli un minuscolo comando a distanza.
Tem Ray, nel prendere il piccolo apparecchio, lo squadrò da capo a piedi: aveva chiesto del personale qualificato per minare i rimorchi dei prototipi, nel caso fosse occorsa la necessità di distruggerli, e il Comandante Cassius gli aveva affibbiato quel tenente di prima nomina, magro come un chiodo, con modi impacciati e un insopportabile accento britannico.
“Ti chiami Bright, vero?”, disse alla fine l'ingegnere.
“Sì, signore!”
“Sei alla prima nomina, quindi hai diciannove anni, giusto?”
“Sì, Signore!”.
“Porca miseria”, pensò Ray, “non posso certo affidarmi a questa recluta!”
“Mettimi in contatto col comandante Cassius...”, sbottò.
“Sì, signore!”, disse Bright traendo un Walkie-Talkie dalla sua cintura.
“..e piantala di ripetere 'Sì signore'!”, aggiunse Tem.
“Sì signore... voglio dire... d'accordo, signore!”, disse Bright mentre cercava affannosamente di regolare lo squelch sulla piccola ricetrasmittente. Tem Ray lo guardò con tenerezza: sapeva bene che quelli della generazione di Bright si erano ritrovati arruolati senza nemmeno sapere perché, a causa della guerra con Zeon. Non c'era motivo di essere troppo duro con lui, il ragazzo sembrava volersi impegnare genuinamente.
“Cosa c'é che non va?”, gli chiese alla fine.
Bright alzò il volume del Walkie Talkie al massimo. Uno strano rumore tamburellante irradiò dall'altroparlante. “Tutti i canali di servizio sembrano disturbati... ma dentro la colonia non dovrebbero esserci interferenze!”
Tem Ray gli prese il Walkie Talkie di mano é provò lui stesso a cambiare un paio di frequenze. Il repentino cambio d'espressione dell'ingegnere non sfuggì al giovane ufficiale.
“Lascia stare la radio e và di corsa dal comandante! Fai attivare i sismografi della White Base.”
“I... sismografi, signore?”
“Sulle colonie non li hanno, ma sulla nostra nave sono stati montati apposta.”, rispose secco l'ingegnere, “Queste non sono normali interferenze...”

“...sono particelle Minovsky, avevo indovinato!”, disse Amuro, con una punta di entusiasmo che avvertì subito come assolutamente fuori luogo. Ma i quadranti del vecchio analizzatore di spettro delle onde elettromagnetiche che suo padre gli aveva portato in uno dei suoi ultimi viaggi sulla Terra non lasciavano margine di dubbio.
Fraw, che si era autoinvitata nella sua stanza, lo guardò interdetta.
“I notiziari dicevano che stamattina avrebbe attraccato una nave ospedale dell'Esercito Federale, magari sono causate da quella...”
“No, Fraw”, scosse la testa Amuro, “le navi da battaglia hanno generatori schermati, quindi rilasciano le particelle solo di proposito, ad esempio durante una battaglia... non c'é motivo d'irradiarle mentre sono dentro Side 7, anche perché impedirebbero l'uso di ogni apparecchio che sfrutta le onde elettromagnetiche...”
Amuro accese la tv in camera e fece zapping sui vari canali: alcuni erano molto disturbati, altri no.
“Vedi? I canali via cavo funzionano tutti perfettamente, mentre quelli via etere no!”
“E allora cosa potrebbe essere?”, domandò confusa Fraw.
“Qualcosa che su Side 7 non dovrebbe esserci”, rispose greve Amuro. Si avvicinò all'amica e gli mise le mani sulle spalle: “Ascoltami bene, Fraw. Voglio che adesso torni a casa tua, da tua madre, e ti prepari a raggiungere il rifugio blindato più vicino.”
Fraw sgranò gli occhi. I rifugi erano stati realizzati per i casi di emergenza, qualora un meteorite avesse colpito Side 7, per garantire la sopravvivenza della popolazione. Si facevano delle esercitazioni di evacuazione, ogni tanto. Ma mai, mai lei si sarebbe aspettata di ricevere un ordine del genere da un suo coetaneo, da Amuro men che meno. Tuttavia, lo conosceva bene. Sapeva che non le avrebbe mai detto una cosa del genere solo per farle uno scherzo.
“Tu cosa farai?”, gli chiese.
“Ci dovrebbe essere mio padre, sulla nave appena arrivata. Cercherò di contattarlo, forse lui ne sa qualcosa...”


“E con questo fanno tre!”, disse il Sergente Denim mentre guardava attraverso il binocolo.
I due piloti erano usciti dai cockpit dei loro Zaku, mimetizzati alla buona nella fitta vegetazione alla base delle montagne costituenti la parete sud della colonia spaziale, e stavano osservando da lontano l'ex impianto industriale della Anaheim.
Denim era il prototipo del sottufficiale inferiore. Non troppo alto, tarchiato in quel mix di muscoli e ciccia che lo avrebbero fatto distinguere da un ufficiale anche a distanza. La sua barba non curata e l'aspetto da trentenne vissuto completavano il quadro, molto contrastante con la figura del suo subalterno, il sergente Gene, alto e magro e che, pur non sembrando un ragazzino come il giovane Slander, non dimostrava affatto i suoi ventisette anni né fisicamente, né come indole.
“Tre rimorchi per trasporti eccezionali...”, disse Gene, “...le notizie intelligence erano esatte: la Anaheim s'é messa in affari coi Federali... maledetti lunariani!”
Denim abbassò il binocolo e si voltò verso il suo sottoposto.
“Per quel che ne sappiamo, sotto le coperture di quei camion potrebbe esserci qualsiasi cosa. Questa colonia non é ancora completa...”
Gene sbuffò e indicò in direzione dello stabilimento.
“Denim, non raccontiamoci balle... rimorchi lunghi venti metri e accuratamente coperti con doppi teloni! Personale in subbuglio che sciama tutt'attorno! Buggy con finti tecnici a bordo! Una nave Federale nuova di zecca che attracca qui proprio oggi! Quelli non trasportano pilastri, dev'essere quello che chiamano 'Progetto V'!”
Denim sbuffò e tornò a osservare attraverso il binocolo.
“Nessuno sa di cosa tratti questo fantomatico progetto V, Gene... anche se ammetto che non so cosa darei per sbirciare sotto quei teloni!”
Un sibilo costrinse Denim a distogliersi dall 'osservazione ancora una volta: Gene era tornato sul suo Zaku, che si stava alzando in piedi emettendo tutta una serie di sbuffi e fischi.
“Gene, pezzo d`idiota, cosa pensi di fare?!”, urlò Denim.
“Soddisfare la sua curiosità, Denim...”, rispose Gene attraverso gli altoparlanti esterni del suo Mobile Suit, “...e guadagnarmi una promozione!”

“Il sismografo non indica proprio niente!”, disse il giovane operatore dopo aver controllato per l'ennesima volta.
“Va bene così, Oscar, spegni tutto!”, rispose il Paolo Cassius.
Bright scosse la testa mentre osservava il monitor che si oscurava. Per un istante, prima che si spegnesse del tutto, gli sembrò di vedere un bagliore. La sua immaginazione. Forse.
“Comandante, l'ingegner Ray sembrava così convinto...”
Il Comandante Cassius mise una mano sulla spalla di Bright.
“Tem Ray non é più stato la stessa persona, dopo la separazione dalla moglie. É diventato paranoico e troppo attaccato al suo lavoro. Credimi Bright, io...”
L'esplosione di uno sparo lo interruppe. Poi, un'altra. E un'altra ancora.
Il Sergente Oscar riaccese il monitor del sismografo: un grafico composto da decine di picchi e oscillazioni apparve davanti agli occhi di tutti.
“Voglio una scansione a infrarossi di tutta la colonia, subito!”, urlò Cassius.
Marker, l'altro operatore, si arrampicò sulla sua consolle e collegò il sistema di videosorveglianza interna di Side 7 al gigantesco schermo principale ricavato sul tetto della Plancia.
“Settore nord, negativo...”, disse, agendo sulla sua tastiera, “settore ovest, negativo...”
Cassius chiuse gli occhi. Se loro erano entrati in Side 7 da Nord, allora era ovvio che...
“Settore sud: due impronte termiche correlabili a Mobile Suit!”, gridò Marker.
“Bright, prendi dieci uomini armati e corri allo stabilimento dall'ingegner Ray. Digli che la copertura é saltata, di imbarcare i prototipi e distruggere tutto il resto, chiaro?”
Bright annuì e, diomenticando per una volta le formalità militari, corse verso l'ascensore.
Cassius si tolse il berretto da Comandante e si passò una mano tra i capelli.
“Mettetemi in contatto col Comandante dell'installazione militare!”, ordinò.

La Sala Mensa della Anaheim Electronics aveva accolto un pubblico certamente più felice di quello presente quel giorno. Nonostante il magistrale panorama di Side 7 offerto dall'immensa, luminosissima finestra semicircolare che occupava l'intera parete sud, l'ambiente era reso tetro dal volti scuri dei presenti. Da quando le Forze Federali avevano confiscato quell'installazione industriale per farne ufficialmente un Centro di Reclutamento, e ufficiosamente un poligono sperimentale, la Sala Mensa era diventata l'anticamera dell'inferno per tutti i coscritti, che vi attendevano, spesso per molte lunghe ore, il compiersi del loro destino. Qui infatti venivano assegnati ruoli, corpi, destinazioni... e divise conformi ad essi. Girava voce che, se quando chiamavano il tuo nome vedevi poggiare sul banco di distribuzione una giubba grigia con tasconi frontali dotati di bottoni, eri già carne morta: ti toccava la fanteria. Se le tasche erano invece dotate di chiusura lampo, eri stato destinato ai corpi spaziali, o EFSF. Ma saresti stato carne morta ugualmente.
Kai Shiden venne trascinato nella sala dal gigantesco ufficiale afroamericano e letteralmente gettato da parte, in un angolo. Inciampò nelle sue stesse gambe ruzzolando sul freddo pavimento metallico. Il suo accompagnatore non sembrò curarsene, anzi guadagnò il centro della sala e squadrò in un batter d'occhio le decine di presenti in modo così intenso che quando iniziò a parlare chiunque, nella stanza, pensò si stesse rivolgendo direttamente a lui.
“Sono il sottotenente Ryu José, delle Forze Spaziali Federali”, esordì il gigante, “il vostro incorporamento inizierà a breve.” Fece una pausa d'effetto e guardò ancora una volta tutti in faccia.
Il suo pubblico sedeva ordinatamente ed in mesto silenzio su sedie in plastica rossa ancorate al pavimento in coppie, contrapposte a due a due. I tavolini che un tempo separavano le coppie di sedie prospicienti erano stati smantellati e portati via per guadagnare spazio.
“Da adesso non voglio sentire volare una mosca, i vostri nomi verranno chiamati in ordine alfabetico, prima coloro che hanno già prestato servizio nelle Forze Federali, poi tutti gli altri.”
José sorrise tra sé: quei poveracci erano talmente spaventati da non riuscire a proferire parola da ore, quindi il suo appello al silenzio era del tutto inutile. Non gli piaceva recitare un copione, quel copione in particolare, per cui non trovò nulla di sbagliato nell'aggiungere:
“Normalmente non mi occupo degli arruolamenti, oggi tocca a me ma non ne sono felice, quindi facciamo così: voi non create problemi a me...”, si puntò l'indice destro sul suo possente petto, “... e io non ne creerò a voi”, continuò girando il dito verso il suo pubblico, “e Dio sa se voi non avete bisogno di altri problemi, oggi! Ci sono domande?”
Shiden alzò la mano. José lo vide e lo ignorò scuotendo leggermente la sua gigantesca testa.
“Bene”, concluse, “voglio che quelli che hanno già prestato servizio militare si siedano alla mia sinistra, su questo lato della sala. Gli altri siedano a destra, al centro, ovunque ci sia posto... ma non a sinistra! Chiaro?”
Senza attendere conferme o risposte, girò sui tacchi e si diresse verso uno dei banconi precedentemente destinati alla distribuzione dei cibi, i cui vani per la tavola calda erano stati spogliati di pentole e pentoloni e riempiti con uniformi federali.
Shiden si tirò in piedi, battendosi le mani sui pantaloni per spolverarli, e si guardò attorno.
La trovò sulla sinistra, in fondo alla sala... la bionda che aveva adocchiato all'ingresso. Emise un fischio d'approvazione mentre considerava che gli altri ragazzi presenti dovevano davvero essere paralizzati dalla paura, per aver lasciato un simile bocconcino a sedere da sola!
Indossò la faccia tosta più tosta che aveva, si infilò le mani in tasca per darsi un tono -qualunque esso fosse- e si avvicinò fischiettando alla ragazza, fermandosi a pochi passi da dove lei sedeva composta, con lo sguardo azzurro perso nel vuoto.
“Accidenti, chi avrebbe mai detto che nelle Forze Federali ci siano ragazze così belle!”, esordì.
La bionda gli rivolse lo sguardo e, come se stesse osservando un curioso scherzo della natura, si limitò a domandare:
“Prego?”
Shiden, tutto contento d'aver creato un qualche tipo di connessione, si sedette accanto a lei.
“Dicevo che non credevo ci fossero anche delle belle ragazze, nell'esercito!”, ribadì porgendole la mano, “Comunque, piacere, il mio nome é...”
“...Sottotenente Kai Shiden!”, finì lei, senza emozione.
Kai si sentì preso in contropiede, ma aveva un ego troppo grande per desistere nel suo tentativo di corteggiamento.
“Sai il mio nome? Mi hai già adocchiato, eh?”
La ragazza strinse appena la mano di Kai e la ritirò subito, come se avesse toccato qualcosa di sgradevole.
“Tutti, qui, sanno come ti chiami. La tua scena madre all'ingresso non é certo passata inosservata!”
Kai sorrise per sdrammatizzare:
“Non mi trovo troppo a mio agio con i modi arroganti della Federazione!”
“...disse lo straniero che attacca bottone con le sconosciute parlando del loro aspetto fisico!”, aggiunse lei, sarcastica.
“Ce l'hai un nome, o i tuoi ti hanno fatta carina e basta?”, ghignò lui.
“Sayla Mass”, sorrise inaspettatamente la ragazza.
“Mass come la nobile casata europea?”, chiese Kai.
“Proprio loro”, rispose lei dopo averlo squadrato. “Come li conosci?”
“Studio da giornalista”, rispose Kai. “o meglio, studio Scienze Politiche, in effetti”
“Credevo servisse il diritto di voto, per quella facoltà”, obiettò lei.
“Credevi bene”, rispose Kai facendo il saluto militare, “gli spazionoidi per avere il diritto di voto devono servire nelle forze federali per almeno un anno”, agitò la mano come a scacciare l'idea, “ecco perché avevo fatto l'ufficiale di complemento, l'anno scorso!”
“Bella fregatura”, sorrise lei.
“E tu? Se sei una Mass, come minimo sei nata sulla Terra...”, disse sornione Kai.
“Facoltà di Medicina di Side 7. Solo per gli studenti nati qui. A meno che...”, rispose Sayla con un sospiro.
“...un trimestre di servizio nelle forze federali!”, continuò Kai, eccitato dall'aver trovato un punto di contatto con lei. “Quindi, saresti un'infermiera?”
“No. Ho fatto l'operatore alle telecomunicazioni nella EFSF. Interfoni a contatto, ricetrasmettitori laser, radio tradizionali... quella roba lì!”, rispose lei.
“Congedata poco prima che iniziasse la guerra, vero? E, così, hanno fregato anche te!”, rise Kai.
Sayla fece per rispondere, ma il rumore martellante del motore di un elicottero catturò all'istante l'attenzione di tutti. Kai guardò attraverso la gigantesca finestra panoramica: due elicotteri anticarro avevano sorvolato l'edificio e volavano a velocità sostenuta verso l'estremità sud della Colonia Spaziale.
José lasciò il bancone a centro sala e mosse alcuni passi verso la finestra.
Una sventagliata di proiettili di grosso calibro aprì dei fori sulla parete sud, nel cemento come nel vetro della finestra panoramica, che pure era di tipo blindato.
Tutti si gettarono sul pavimento per ripararsi. Il silenzio tetro della rassegnazione aveva improvvisamente ceduto il posto a stridenti urla di terrore.
José alzò di nuovo lo sguardo attraverso la finestra: uno dei due elicotteri ruotava violentemente su sé stesso, disegnando una scia di fumo nero che ne tracciava la traiettoria di volo. Stava precipitando proprio lì davanti.
Ryu prese la sua decisione in un secondo.
“Tutti al riparo dietro ai banchi di distribuzione!”, urlò, alzandosi e lanciandosi lui stesso dietro il primo riparo disponibile.
L'esplosione mandò la finestra definitivamente in pezzi.

C'erano dei limiti ben precisi, per un'astronave da guerra che volesse avvicinarsi ad un Side ufficialmente neutrale. Questo limite era disegnato da una serie di satelliti stazionari dotati di ripetitori radio, laser e luminosi, delimitanti la porzione di spazio nella Sfera Terrestre di giurisdizione di quel Side.
Lo Xamel, unità della classe Musai, stazionava ormai da qualche ora sul margine Sud di questo confine, sebbene la definizione di “margine Sud”, priva di senso nello spazio e usata in modo abbastanza arbitrairio, fosse un'indicazione dettata più dalla consuetudine che da reali motivazioni.
Attraverso le finestre della plancia della piccola unità Zeoniana, il corpulento Tenente Dren osservava il solitario cilindro di Side 7, riflettendo su cosa avrebbe detto al suo diretto superiore per rendere più accettabile un simile guaio. Decise che un'immagine sarebbe valsa più di mille parole.
“Stampami la foto inviata da Slander!”, ordinò infine all'operatore alle telecomunicazioni.
In quel momento sentì distintamente il rumore di due suole magnetiche che toccavano il pavimento alle sue spalle. La voce che seguì confermó la sua intuizione.
“Novità da quella specie di cavallo a dondolo, Dren?”
Dren si voltò e scattò sull'attenti davanti al suo interlocutore appena arrivato. Nonostante lavorasse con lui ormai da mesi, non s'era ancora abituato ad averci a che fare.
Il Maggiore Char Aznable. Il più giovane ufficiale superiore nelle Forze Armate del Principato di Zeon, vent'anni appena, dieci meno di Dren.
Il suo grado non era atterrato sulle spalline per caso. Nella prima grande battaglia di quella guerra combattuta nella porzione di spazio noto come “Loum”, Char Aznable aveva distrutto, da solo, ben cinque incrociatori federali classe Salamis, unità assai più potenti di una classe Musai, quantomeno sulla carta. Nel compiere quest'impresa, l'allora Sottotenente Aznable aveva sperimentato la scarsa sicurezza del suo Mobile Suit, uno Zaku II di preserie, rischiando la sua stessa vita in un improvviso quanto inspiegabile incendio all'interno del cockpit, che aveva lasciato profonde bruciature e cicatrici su tutto il suo corpo.
La Zeonic, che produceva gli Zaku per il Principato, per scusarsi aveva costruito un elmo speciale che, pur non coprendo del tutto il volto del giovane ufficiale e non riuscendo a celare del tutto i segni che lo sfiguravano, leniva il dolore delle ferite e compensava le conseguenze subite dalla funzionalità di occhi e orecchie, rendendo Char di fatto privo di qualsivoglia handicap.
La famiglia Zabi, regente il Principato di Zeon, dal canto suo aveva accolto l'opinione diffusa tra le truppe secondo la quale Char Aznable, se non fosse stato costretto a ritirarsi per quell'incidente, avrebbe spazzato via da solo l'intera flotta federale, accordandogli una promozione senza precedenti di ben tre gradi. Nessuno aveva quindi investigato su cosa fosse effettivamente successo dentro quell'abitacolo, perché a causa di quell'incidente il Principato aveva ora il suo primo Asso e il suo primo Eroe, la Zeonic aveva potuto perfezionare le sue macchine e affermarne l'efficacia senza pagare penali, e tutti alla fine sembravano essere contenti.
Dren scacciò il disgusto che lo assaliva ogni volta nel vedere, seppur solo in parte, il volto martoriato del suo diretto superiore e gli lanciò contro la stampa appena eseguita di un'immagine trasmessa da Side 7. L'assenza di gravità fece planare lentamente la fotografia tra le mani, coperte da guanti bianchi speciali, del maggiore.
Char studiò l'immagine con attenzione.
“Sotto quel telone c'é un Mobile Suit”, disse infine.
“Non capisco, Comandante”, rispose perplesso Dren, “conosciamo bene i cosiddetti Mobile Suit federali, a parte il Guncannon si tratta perlopiù di macchine edili o tank riadattati, perché portarne di nascosto in un Side così fuori mano?”
“Forse stanno allestendo una base su una colonia neutrale”, pensò ad alta voce Char, “ma non vedo che senso avrebbe, visto che il Principato si trova dal lato opposto della Sfera Terrestre... quindi si tratta di un progetto segreto, qualcosa da tenere lontana dai riflettori... dobbiamo agire con cautela!”
“A questo proposito, Comandante... ci sarebbe un piccolo problema...”, farfugliò Dren.

Quando Sayla si rimise in piedi, la polvere da calcinacci era ancora densamente sospesa nell'aria di ciò che rimaneva nella sala mensa, rendendo la visibilità molto limitata.
Sentì dei tonfi sordi provenire da qualche parte e avvicinarsi costantemente. Guardandosi intorno, vide Kai in piedi, immobile, che guardava nella direzione in cui, fino a pochi momenti prima, c'era la finestra panoramica.
Trovando una corrispondenza nella sua cultura accademica, Sayla si avvicinò a Kai, lo afferrò per un braccio e lo scosse temendo fosse sotto shock. Poi, decise di seguirne lo sguardo.
E fu allora che vide il monocolo spettrale al centro della testa di uno Zaku II che perlustrava l'interno di quel che rimaneva della sala.
Il gigante di metallo sembrò non far caso a loro due né a tutte le altre persone, molte delle quali giacevano ancora al suolo immobili, ma si voltò e spiccò un salto allontanandosi e alzando una nuova nuvola di detriti a causa dei getti del suo jet-pack. Quelli tra i presenti che erano ancora coscienti, urlarono di paura.
Kai si guardò attorno, afferrò Sayla per un braccio e fece per tirarla via, ma lei si ritrasse.
“Che fai?”, gli chiese.
“Approfitto della situazione e me la do a gambe, cos'altro dovrei fare?!”, urlò lui.
Il viso di Sayla si corrugò in un'espressione di rabbia e disappunto.
“Qui c'é gente che ha bisogno d'aiuto!”, disse, indicando i corpi ancora al suolo.
“Pensi di poterli salvare tutti, Dottoressa? Questi sono spacciati! Io sono ancora vivo, invece, e voglio rimanerlo! Vieni con me o no?”, rispose Kai, esasperato.
Uno schiaffo di una violenza inaspettata s'abbatté sul volto del giovane. Si trovò a pensare quanto fosse strano che una ragazza così delicata avesse una tale forza fisica.
“Se parli così perché sei sotto shock, questo dovrebbe rimetterti il cervello a posto. Se invece sei solo un vigliacco ed un egoista come penso, allora vattene pure e salva la tua miserabile vita, verme!”, intimò Sayla.
Kai non credeva alle sue orecchie. Contrariamente alle sue abitudini, tentò una seconda volta:
“Sayla qui non c'é più niente da salvare, capisci? Corri solo il rischio di morire anche tu, questo posto non reggerà ancora molto, specie se quel Mobile Suit dovesse tornare...”
A Sayla venne in mente una frase che aveva sentito spesso, da bambina.

“Non mi aspettavo che uno come Denim si facesse sfuggire di mano una recluta come Gene”, ammise greve Char mentre continuava ad osservare la fotografia, “ma potremmo sfruttare la situazione come diversivo! Dren, prepara una squadra di incursori in Normal Suit, la guiderò personalmente dentro Side 7!”
Dren sbatté gli occhi, stupefatto.
“Comandante, siamo a corto di munizioni e rifornimenti, e lì dentro sta infuriando una battaglia! Non avremmo modo di fornire nemmeno il fuoco di copertura durante una probabile ritirata! Almeno, non ci vada lei personalmente!”
“Intendo andare a vedere con i miei occhi” rispose perentorio Char, facendo gelare il sangue a Dren che si chiedeva spesso quanto, di quegli occhi elettronici ricavati nella sua maschera, fosse effettivamente “suo”.
“Comandante, é rischioso...”, fu tutto quello che riuscì a rispondere.
A Char venne in mente qualcosa che diceva spesso suo padre.

“A volte, il rischio é l'unica opzione!”, risposero in un inconsapevole e distante unisono Sayla e Char.

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Re: Gundam: Suit You Up!

Messaggio da Bright » 12/12/2014, 14:29

III

Amuro uscì di casa appena dopo i primi spari. Nonostante i pochi secondi trascorsi, la scena che gli si presentò davanti era apocalittica. In vari punti delle zone residenziali di Side 7 già s'innalzavano colonne di fumo nero che seguivano il senso di rotazione dell'immenso cilindro raggiungendo il centro della colonia dove la forza di gravità era assente, disegnando strani ghirigori che impedivano di vedere gli altri settori abitati. L'allarme generale suonò, seppure coperto da spari ed esplosioni. Una voce agli altoparlanti ripeteva:
“Allarme Generale! La Colonia é sotto attacco! Tutti i civili raggiungano il rifugio più vicino, questa non é un'esercitazione!”
Amuro gettò Haro sul sedile posteriore dell'auto, saltò a bordo, mise in moto e si diresse verso il Centro di Reclutamento.

“Siamo al completo, qui!”, sancì perentoria una voce all'interfono. Il nonno materno di Fraw si voltò verso sua figlia e sua nipote e cercò di nascondere il suo terrore.
“C'é un altro rifugio a trecento metri da qui, dobbiamo raggiungerlo, é un po' fuori mano quindi ci sono buone possibilità che ci sia ancora posto!”, disse, prendendo fermamente per un braccio sia Fraw che sua madre e trascinandole via con forza nonostante i suoi ottant'anni.
Fraw si voltò verso la battaglia. Nonostante essa si svolgesse ad oltre due chilometri da lì, la geografia di Side 7 non nascondeva nulla. La giovane vide gli elicotteri d'attacco della Federazione spazzati via dalle raffiche di uno dei due Zaku, mentre un altro identico sembrava, paradossalmente, cercare di fermare il compagno ed al contempo proteggerlo dal contrattacco.
Vide i colpi meno accurati di ambo le parti centrare gli edifici e sbriciolarli in una pioggia di calcinacci che cadeva sulle strade gremite di gente in fuga.
Vide un tank federale, spuntato da chissà dove, sparare contro uno degli Zaku ma mancarlo clamorosamente centrando un elicottero alleato che, dopo una breve autorotazione, piombò sulla folla.
Man mano che si avvicinavano al prossimo rifugio, i corpi al suolo si facevano più numerosi.
Una bambina di non più di quattro anni con i capelli biondi raccolti in due code piangeva in ginocchio sul corpo esanime della madre, la cui testa era stata schiacciata da uno dei giganteschi bossoli dei fucili degli Zaku.
“Questa non é una battaglia”, disse Fraw divincolandosi dal nonno e raggiungendo di corsa la povera bambina, “é un massacro!”
In quel momento vide Amuro sfrecciarle davanti e gridò il suo nome più forte che poté. Più forte delle esplosioni tutt'attorno, più forte del pianto della bambina che non voleva saperne di lasciare il corpo della madre, più forte della disperazione che aveva riempito l'aria di Side 7.
Amuro frenò sgommando e la guardò fissa. Fraw sorrise tra le lacrime, poi lesse l'espressione terrorizzata sul volto del suo amico... il suo sguardo che andava oltre le spalle di lei. Si voltò.
Un colpo vagante era caduto a dieci metri di distanza, esattamente là dove lei si trovava poco prima di andare a soccorrere la piccola... esattamente dove ancora si trovavano sua madre e suo nonno, di cui adesso rimanevano solo i cadaveri straziati.

I tre giganteschi camion telonati percorrevano a tutta velocità la ripida striscia d’asfalto che correva dall’ex impianto della Anaheim alla base dello spazioporto Nord di Side 7. Purtroppo, viste le dimensioni dei mezzi ed il peso del loro carico, l’andatura più celere che ci si poteva aspettare erano trenta miseri chilometri l’ora, su una strada piana. La tangenziale di carico della colonia, per contro, aveva una pendenza di oltre il venti per cento.
Tem Ray, in piedi su una delle piattaforme dello spazioporto che davano sull’interno del Side, osservò la scena attraverso un binocolo digitale: i tre veicoli da trasporto arrancavano su per il pendio, due chilometri più giù. Una manciata mezzi federali, fuoriusciti dalla finta installazione industriale, coprivano loro la fuga cercando di impedire ai due Zaku di saltare abbastanza in lungo da raggiungerli. Nonostante questo, la distanza tra i mezzi Zeoniani e i prototipi si accorciava di istante in istante.
“Non ce la faranno mai”, sospirò Bright scuotendo la testa.
La rassegnazione del giovane ufficiale stizzì l’ingegnere, che gli porse il binocolo in malo modo.
“L’ufficiale è lei, Bright, mi aspetto che faccia in modo di recuperarli, prima che finiscano nelle mani di Zeon!”
Bright guardò sconsolato attraverso il dispositivo. Si rese subito conto che i suoi sei mesi di servizio sulle fregate classe Salamis non gli sarebbero stati utili, in questo caso.

“La prego, Maggiore, non è davvero necessario che ci vada di persona”, insistette Dren dal monitor.
Char lo ignorò e avvitò con cura la doppia guarnizione sul collo della sua Normal Suit. Il suo casco spaziale era stato modificato per poter essere indossato sul suo visore speciale. Non aveva dovuto chiedere in prima persona questa particolare modifica, parecchi tra le fila di Zeon erano convinti che, senza quella maschera ipertecnologica, la Cometa Rossa fosse ormai completamente cieca. Molti, anzi, imputavano a quella particolare protesi cibernetica le sue mirabolanti capacità nel pilotaggio di Mobile Suits. Per quanto questa teoria fosse assurda, era ben difficile anche il solo far notare a molti pseudo-assi di Zeon che le sue prime e più sconvolgenti vittorie Char le aveva ottenute quando ancora non indossava alcuna maschera.
Il team d’incursori era stato assemblato in fretta e furia, visto che gli equipaggi d’assalto delle classi Musai erano normalmente composti dai soliti Mobile Suit, data la scarsa importanza riconosciuta alle missioni d’infiltrazione individuale dall’ avvento di questi mezzi. Char non era per nulla d’ accordo con questa tesi e i fatti gli stavano dando ragione, dopotutto il suo intervento non era un tentativo di porre rimedio ad un’incursione di Suit andata male? Per questo motivo, il Maggiore Aznable oltre che come pilota si era brevettato come incursore, un’abilitazione ormai desueta ma che gli aveva fornito il diritto d’indossare la tenuta di colore rosso tipica delle forze speciali, quello stesso rosso che poi aveva tanto caratterizzato la sua fama al punto da voler dipingere nella stessa tonalità il suo Suit personale, in barba al buonsenso che avrebbe piuttosto consigliato una colorazione a bassa osservabilità.
Già, il rosso!
Char passò in rassegna i tre uomini che componevano la sua squadra e constatò il triste e poco confortante colore verde tipico delle normal suit standard per il personale privo di abilitazioni specialistiche. Non poteva certo lamentarsi, dopo otto mesi di guerra gli specialisti erano merce rara e assolutamente non sacrificabile. Tuttavia, avrebbe di certo gradito un po’ di rosso in più tra le sue fila…
“Abbiamo un sentiero laser su cui agganciarci?”, domandò quindi a Dren attraverso il monitor.
“ Sì, Maggiore. Slander è rimasto fuori dalla colonia e sta illuminandoci col telemetro del suo suit”, rispose laconico il corpulento tenente.
“Bene”, rispose secco Char mentre si abbassava la visiera del caso. Si voltò verso il più anziano dei suoi uomini, il sergente Cozun, e gli fece cenno di entrare nella camera di decompressione.


“Kikka, dammi le mani!”, disse Amuro alla bimba bionda che Fraw teneva fra le braccia.
Si stavano arrampicando lungo il pendio nord di Side 7 da oltre dieci minuti, ma erano solo all’inizio della scalata. Una scalata ripida, faticosa, da tentare solo in caso di emergenza qualora le rampe d’ accesso al North Space Gate non fossero accessibili.
Ovviamente, non lo erano.
Amuro poteva vedere la battaglia che infuriava cento metri più in basso, ma anche Fraw che, riavutasi dallo shock, ora si concentrava sulla bambina che aveva salvato e che l’aveva salvata, non pensando più allo spettacolo crudele della morte dei suoi parenti.
“Sei sempre stata una ragazza forte”, gli aveva detto Amuro mentre cercava di aiutarla a riprendersi. Adesso la guardava: i vestiti sporchi e strappati, il viso lordato da lacrime e polvere, Fraw a differenza sua non si voltava mai indietro. Guardava avanti e in alto, verso lo spazioporto. Le porse una mano per aiutarla a salire.
“Non capisco”, domandò lei. Era la prima frase di senso compiuto che la sua amica pronunciava dalla tragedia, quindi Amuro la guardò con attenzione ben maggiore di quanto facesse di solito quando lei gli faceva una domanda.
“Se questi Mobile Suit di Zeon sono apparsi proprio oggi che è arrivata la nave di tuo padre, allora il loro obbiettivo è quella… perché andare a rifugiarci proprio lì?”, proseguì Fraw.
“Non sono qui per la nave”, rispose Amuro, “vogliono il Gundam!”

La tangenziale di carico del North Space Gate terminava con un’ulteriore rampa che entrava in una saracinesca alta oltre venti metri e larga almeno il doppio, incastonata nella roccia viva che costituiva la parete Nord di Side7. Il primo dei tre grossi autocarri imboccò la porzione finale di strada mentre la saracinesca iniziava ad aprirsi, rivelando al suo interno la prua dello scafo della White Base. Appena un paio di chilometri più sotto, il frastuono della battaglia cresceva man mano che essa s’avvicinava.
“Grazie al cielo, sono arrivati!”, esultò il Professor Ray, sbracciandosi per dare istruzioni al conducente del prezioso autotrasporto.
L’autista del primo camion mise un braccio fuori dal finestrino e iniziò a gesticolare a sua volta, anticipando al personale a terra la manovra che intendeva operare.
Una raffica di mitra costrinse tutti a gettarsi al suolo e cercare riparo.
Quando Tem Ray rialzò lo sguardo vide il parabrezza del primo automezzo in frantumi e macchiato di schizzi purpurei, il braccio del conducente che pendeva mutilato dal finestrino e il veicolo che scivolava lentamente a marcia indietro. Man mano che acquistava velocità ripercorrendo il ripido declivio al contrario, il gigantesco rimorchio iniziò a sbandare paurosamente a destra e sinistra, fino a strappare via i giunti che lo assicuravano alla motrice e imbardarsi infine su un lato, in senso perpendicolare alla strada, travolgendo gli altri due autocarri identici che lo seguivano. La cabina della motrice del secondo mezzo venne letteralmente schiacciata dalla somma della sua velocità e del peso del primo rimorchio impazzito, causando un arresto improvviso e un tamponamento a catena da parte del terzo mezzo che seguiva. Il terzo veicolo strappò e trascinò via con sé il rimorchio del secondo, sfondando il guard rail sinistro della tangenziale. I due mezzi, così incastrati, volarono oltre il ciglio della strada, giù per il pendio quasi verticale che arrivava a valle.
“No, no, no!”, esclamò lo scienziato militare, sovrastando perfino il frastuono dell’impatto tra camion, mentre Bright lo aiutava a rimettersi in piedi.
Nella foga dettata dalla rabbia e dalla frustrazione, Ray afferrò il giovane ufficiale per il collo piuttosto che aggrapparvisi per aiutarsi, inveendo e urlando:
“Bright, maledetta recluta, faccia qualcosa, recuperi quei Mobile Suit!”
“No, Tenente, ne recuperi uno solo!”, ingiunse perentoria una nuova voce.
I due si voltarono e videro il Comandante Cassius fasciato in una Normal Suit.
“Questa colonia ha subito troppi danni, è improbabile che possa resistere a lungo. Dobbiamo usare la White Base per evacuare i civili!”, aggiunse l’anziano ufficiale.
“Questo è inaccettabile!”, protestò Tem Ray.
“Non è mia intenzione abbandonare la popolazione per portare a Jaburo del materiale superfluo, Tem”, rispose freddo Cassius, “recuperiamo il primo rimorchio. Bright, fai detonare le cariche sugli altri due!”
Tem Ray assunse un’aria di sfida, ma non osò aggiungere nulla, mentre Bright gli requisiva il comando a distanza degli esplosivi e premeva alcuni pulsanti su di esso.
“C’è qualcosa che non va!”, disse Bright, “non succede nulla!”
Il bagliore di un’intuizione scosse la mente scientifica di Tem Ray il tanto che bastava dal destarlo dal suo disappunto.
“Le particelle Minovsky! Che stupidi, non vi è modo di comandare a distanza quegli ordigni, fintanto che i due Zaku sono qui!”
“Vuol dire che dovremo farli esplodere manualmente!”, disse il Comandante.
“Ci sono dei timer, sui detonatori…”, aggiunse Bright.
I tre percorsero in fretta la rampa in discesa, oltrepassarono il primo rimorchio, si fermarono sul ciglio della strada laddove gli altri due avevano sfondato il guard rail e guardarono in basso, oltre il dirupo.
Uno dei due rimorchi aveva fermato la sua corsa contro quello che restava del centro di reclutamento, l’altro era passato oltre, fino alla zona residenziale, completamente capovolto.
“Bright, aiuti il professore nel recupero del prototipo, lo porti sulla White Base e la prepari ad abbandonare Side 7 con tutti i civili che riesce a trovare…”, ordinò il comandante indicando il container ancora sulla strada, “…degli altri, mi occupo io con la mia squadra!”

Sebbene l’inglese fosse ormai la lingua ufficiale in tutti i territori della Federazione Terrestre comprese le colonie, vocaboli di origini latine, orientali, arabe e greche non mancavano.
Fraw, la cui famiglia proveniva dalla Germania, aveva più volte ascoltato parole in tedesco, sfuggite al nonno nei momenti di nervosismo o davanti ad una partita alla tv, e sapeva che la famiglia di Hayato, i Kobayashi, mantenevano tutt’ora in casa i loro costumi, la lingua e le tradizioni dell’originario Giappone. Ma quella parola così nuova e strana, non riusciva proprio a comprenderla.
Guardò Kikka mentre sonnecchiava aggrappata alle spalle di Amuro e poi i pochi metri che mancavano alla piazzola di carico del North Space Gate, poi domandò:
“Cosa è un Gundam?”
Amuro si voltò. La ritrovata, proverbiale, curiosità di Fraw Bow non poteva che essere un buon segno. Stava reagendo. Decise di assecondarla.
“I piloti delle forze federali non hanno mai avuto troppa stima dei Mobile Suit, prima dell’ inizio della guerra con Zeon”, esordì, “quando la Anaheim Electronics presentò il primo mobile suit federale, il Robot Sperimentale tipo 75, i collaudatori lo derisero e dissero che era semplicemente un carro armato con un surplus di bocche da fuoco… “it’s just Guns on a Tank”, dicevano… da qui il nomignolo Guntank. Quando uscì il tipo 77, sebbene si muovesse su delle vere gambe, dissero che era tutto mitra e cannoni, perciò lo ribattezzarono Guncannon.”
Amuro finì la scalata, sbucando proprio vicino alla radice della rampa di carico mentre i tre rimorchi la percorrevano, porse la mano a Fraw per aiutarla a fare altrettanto. Le indicò il carico, ancora celato sotto gli spessi teloni verdi.
“Ma il nuovo modello, il tipo 78, è dotato di un fucile e di una barriera portatile… A gun and a dam… Gundam!”
Una raffica di colpi passò sopra le loro teste… Kikka si svegliò piangendo disperata…. Il primo dei tre autoarticolati piombò sugli altri due ricacciandoli indietro fino a farli uscire di strada appena pochi metri più in alto di dove i tre giovani si trovavano… Fraw crollò sulle ginocchia coprendosi le orecchie con le mani e piangendo disperata. Era bastato un solo istante a rigettarla nel baratro.
Amuro guardò a valle e vide lo Zaku di Gene che brandiva in suo mitra con la canna ancora fumante. Poi tornò a osservare la disperazione di Fraw e di Kikka.
Un conato di rabbia e disprezzo crebbe in lui. E fu allora che scorse suo padre, assieme ad altri due uomini, la dove i camion erano usciti di strada. Guardavano nel vuoto e non s’accorsero di lui.
Afferrò Fraw per i polsi e la forzò a rimettersi in piedi.
“Fraw, aiuta Kikka, entrate nello spazioporto!”, le disse con fermezza guardandola dritta negli occhi.
“E tu?”, balbettò Fraw.
Amuro raccolse Haro e guardò prima suo padre e poi il rimorchio.
“Vi raggiungerò, ma prima devo fare una cosa!”

I due veicoli da trasporto, incastrati l’uno sull’altro, sfondarono il guard rail e piombarono giù lungo la scarpata, rotolando più volte l’uno sull’altro e perdendo pezzi ad ogni salto e ad ogni schianto.
Uno dei due rimorchi sfondò quel che rimaneva di uno dei muri di cinta dell’’ex complesso dell’Anaheim Electronics e s’arresto al suo interno… l’altro rotolò oltre, finendo nel bel mezzo dell’area residenziale e falciando una mezza dozzina di villette prefabbricate. La polvere e i detriti sollevati dalle collisioni ridusse la visibilità a pochi metri, per cui Char fece passare il suo binocolo digitale in modalità infrarossa e continuò ad osservare in silenzio finchè entrambi i giganteschi trasporti non giacquero immobili.
“Ottimo lavoro, Gene!”, disse al microfono interno del suo casco, “adesso occupati di quello rimasto in cima alla collina, i Federali non devono recuperarlo!”
“Come ordina, Maggiore!”, rispose via radio Gene. Char ghignò e cambiò il bersaglio del suo ricetrasmettitore laser:
“Denim da Char, copri quell’idiota del tuo compagno e fa che non combini altri guai, ci serve il prototipo rimasto allo spazioporto, dubito potremo ricavare qualcosa di utile dai rottami degli altri due!”
“Sarà fatto, Maggiore!”
La voce di Denim, al contrario di quella di Gene, tremava tradendo la consapevolezza d’averla fatta grossa. Char aggiunse:
“E, Denim, ringrazia la tua buona stella che possiamo incolpare Gene di questo disastro, perché l’Ammiraglio Dozul vorrà certamente la testa di qualcuno e ti giuro che non sarà la mia. Vediamo di non dover destituire due piloti in un giorno solo, intesi, caporale?”
Stavolta l’ex Sergente Maggiore Denim non rispose. Forse era troppo impegnato a capire se sarebbe stato meglio finire sotto Corte Marziale anche lui, piuttosto che degradato sul campo a quel modo, pensò Char.
Prese sottobraccio uno degli incursori che erano penetrati su Side 7 con lui, non certo per spirito fraterno ma per far funzionare gli interfoni a sfioramento.
“Cozun, prendi gli altri e andate a ispezionare il rimorchio finito nel comprensorio industriale, prestate la massima attenzione, potrebbero esserci ancora dei militari!”
Il Sergente Cozun annuì: “Cosa cerchiamo di preciso, Comandante?”
“I data disk e le scatole nere contenute nei cockpit. Recuperatele e portatele via.”
“E l’altro rimorchio?”, domandò il subordinato.
“Ci pensiamo Slender e io, a quello. Non credo ci siano pericoli, l’area residenziale sarà già stata evacuata, ormai… Andate!”
Cozun fece cenno di seguirlo agli altri due uomini di scorta, poi si lanciò nel vuoto dalla rupe dello spazioporto Sud, controllando la sua caduta col jetpack della Normal Suit.
“Vediamo se posso scoprire qualcosa da tenere per me”, pensò maliziosamente Char. Poi appoggiò la mano sul piede dello Zaku di Slander, che giaceva in posizione di tiro appena più in là, e parlò all’interfono:
“Tienimi d’occhio da qui. Intervieni solo e soltanto se te lo chiedo io, intesi?”

Dopo che il Comandante Cassio era andato via col suo team, il dottor Ray aveva ripreso a lamentarsi col povero sottotenente Bright.
“Inaccettabile… quante persone pensate di salvare, qui? Cinquanta? Cento? La popolazione di Side 7 conta oltre trentamila persone! Non c’è modo di caricarli tutti sulla White Base, sono comunque spacciati. Meglio lasciar perdere e caricare anche quel che resta degli altri due prototipi!”
“Non sono questi i miei ordini, signore…”, rispose laconicamente Bright mentre cercava di dirigere i suoi uomini per far agganciare una motrice di emergenza al rimorchio superstite.
“Sono ordini idioti fatti apposta per un idiota come lei, Bright!”, sbottò Tem Ray agitando un dito davanti al viso del giovane militare.
“Dunque è così, papà? I tuoi Mobile Suit valgono più della vita di persone innocenti?”
Il professor Ray si voltò e ristette per lo stupore di vedere suo figlio Amuro che lo guardava truce, coi pugni stretti lungo i fianchi che tremavano di rabbia. Ai suoi piedi, Haro rotolava stranamente silenzioso.
“Amuro, non avevo dubbi che saresti riuscito ad arrivare fino qui! Sali sulla nave, svelto!”, sorrise Tem.
“E degli altri, che mi dici? Fraw, Hayato… che ne sarà di loro?”, protestò Amuro.
Suo padre trasalì: “Il Gundam è la nostra sola speranza contro Zeon. Con esso potremo salvare milioni di persone, non poche migliaia”.
“È esattamente il tipo di risposta che m’aspettavo da te, papà!”, rispose enigmatico Amuro, raccogliendo Haro. Poi, senza proferire altro, si arrampicò sul rimorchio e, prima che suo padre o Bright potessero dire qualcosa, era già sparito sotto il telone protettivo.

Se glielo avessero chiesto, non avrebbe saputo dire come. Eppure, Kai era riuscito a raggiungere lo spazioporto nord di Side 7. Fosse stato un tipo più umile, si sarebbe detto sorpreso di sé stesso. Fosse stato curioso, si sarebbe fermato a osservare con più attenzione la magnificenza della nave spaziale federale lì ormeggiata. Ma Kai era fondamentalmente un egoista, e la sua curiosità si fermava alla semplice domanda “come faccio a scappare di qui?”
I caccia spaziali custoditi nell’hangar della White Base non avevano nulla a che fare con i Saberfish che aveva pilotato durante il suo anno di servizio volontario. Quelli che vedeva erano più piccoli e tozzi del tipico caccia federale, “tascabili”, come si sarebbe lui stesso sentito di dire.
Ma quel che contava era che uno di essi aveva il Cockpit aperto, così Kai ci si arrampicò e fece capolino.
“Bingo!”, esultò. Non aveva una grande opinione dei militari, Kai, ma almeno stavolta fu contento dello scarso livello intellettivo che usualmente accreditava loro. Per quanto strano e nuovo, quel caccia aveva i comandi nell’abitacolo esattamente identici a quelli dei vecchi Sabrefish.
Kai si fiondò dentro e chiuse la calotta. Si fregò le mani e ripassò mentalmente la procedura di avvio… check apparati, check motori… start-up del generatore primario… il sibilo familiare del motore a razzo arrivò al suo orecchio e il giovane, fermo in un sorriso ebete, si allacciò le cinture di sicurezza e guardò fuori.
Il sottotenente Ryu Josè, quell’odioso omone africano che non gli aveva dato pace per tutta la mattina, lo guardava dall’hangar con aria indispettita e mani ai fianchi. Kai non resistette alla tentazione e mostrò il dito medio all’ufficiale.
Ryu vide il gesto, annuì, sorrise e premette un tasto su una consolle a muro.
Un braccio meccanico di dimensioni inusitate piombò sul piccolo velivolo, lo sollevò e iniziò a piegarlo su sé stesso mentre Kai, bloccato dentro, adesso batteva i pugni sul parabrezza e gridava disperato.
“Ma che diavolo fai!”, urlò a Josè uno dei meccanici del’hangar.
Ryu si voltò indispettito.
“Mi scusi, signore”, si corresse il nuovo venuto vedendo le mostrine sul colletto dell’ufficiale nero, “sono il sergente meccanico Omur, responsabile tecnico del Guncannon che sta assemblando…”
“E allora?”, sbottò Ryu mentre osservava compiaciuto un secondo braccio meccanico che, lentamente, assemblava due gambe di Mobile Suit sul caccia che teneva prigioniero Kai.
“Il fatto è che quel ‘cannon è in manutenzione… lo abbiamo completamente ripassato con l’antiruggine rosso, ma abbiamo fatto a malapena in tempo a riverniciare in grigio mimetico solo la testa… non vorrà lanciarlo in battaglia dipinto come un bersaglio, signore!”
“Oh,”, sorrise Ryu, “non preoccuparti, sergente. Il pilota che è a bordo è un tipo che ama farsi notare!”
Fece l’occhiolino a Kai, prima che questi sparisse inghiottito dalla parte superiore del Guncannon.

Lo schianto del trasporto contro le mura del Centro di Arruolamento era stato il colpo di grazia per la struttura dell’edificio, che adesso scricchiolava e perdeva calcinacci dal soffitto.
“Affrettatevi, questo posto non reggerà ancora a lungo!”, gridò Sayla agli ultimi superstiti che stava aiutando a fuggire.
Riemergendo finalmente all’esterno per la prima volta, la ragazza si guardò attorno, attonita alla vista di quello spettacolo di morte e devastazione. Vide i due Zaku che si facevano strada attraverso l’ormai esiguo numero di veicoli federali, quasi due chilometri più a monte. Sembrava un buon momento per cercare un rifugio, posto che ne fossero rimasti di liberi, oppure di tentare di tornare al campus universitario, dove la facoltà di medicina possedeva uno shuttle ambulanza che lei aveva imparato a pilotare di recente. Decise per la seconda possibilità e si affrettò verso la zona residenziale.
Qui lo spettacolo, se possibile, era anche peggiore. Solo una piccola percentuale dei corpi che giacevano straziati al suolo appartenevano a militari o personale armato. La maggior parte delle vittime erano civili inermi. “Nessuno di loro s’aspettava di morire proprio oggi, in questo modo orribile!”, pensò tristemente Sayla. Poi, l’ombra di un uomo fasciato in una normal suit rossa che volava a bassissima quota attrasse la sua attenzione.
Sayla si guardò attorno e vide il cadavere di un soldato federale che ancora impugnava una pistola. Obbedendo ad un istinto indecifrabile staccò l’arma dalle dita serrate dal rigor mortis e si gettò all’inseguimento dell’ombra, sparita oltre un angolo. Il cuore le batteva forte in petto, come preso da un’euforia di cui non avrebbe saputo indovinare il motivo.
Si strinse contro l’angolo dell’edificio dietro il quale l’uomo era sparito e fece capolino:
Conosceva fin troppo bene il taglio e i dettagli di una Normal Suit di Zeon, erano parte di un ricordo che non l’abbandonava mai, sebbene non ne avesse mai viste di quel colore assurdo.
L’uomo stava ispezionando dei rottami sfuggiti da sotto il telone di un autoarticolato identico a quello che aveva colpito il Centro di Reclutamento. Sayla fece un profondo respiro e si lanciò fuori dal nascondiglio, puntando la pistola con la fermezza che suo fratello maggiore gli aveva insegnato molti anni prima.
“Fermo e tieni le mani in alto!”, urlò al soldato nemico.
Questi lasciò cadere un rottame che aveva raccolto, alzo le mani tenendole bene in vista e si voltò lentamente. La visiera specchiata del casco, interamente calata, ne celava completamente il viso. Sayla si soffermò ancora sulla normal suit, di un rosso di un’imbarazzante tonalità.
“Bellezza, giocare con le armi può essere rischioso!”, disse il soldato con un tono di scherno.
“A volte il rischio è l’unica opzione!”, rispose secca Sayla, stupendosi di aver citato per ben due volte suo padre nello spazio di poche ore.
Il cuore di Char si fermò per un istante. Possibile che fosse proprio lei? Una comunicazione laser crepitò nella sua cuffia:
“Maggiore, qui Slander, ho il bersaglio, faccio fuoco!”
“No!”, urlò Char gettandosi in avanti sulla ragazza.
Sayla esitò un momento di troppo ed il nemico le fu addosso prima che potesse tirare il grilletto.
Ma l’onda d’urto di un colpo di ben altro calibro atterrò a pochi metri da loro, catapultandoli dietro l’unico muro rimasto in piedi di quella che era stata una delle residenze civili di Side 7.
Sayla si rialzò, scrollandosi di dosso il corpo apparentemente privo di sensi del soldato nemico.
Era stata un sua impressione, o quell’uomo l’aveva spostata dalla linea di tiro?
Tuttavia, adesso sembrava inerme, mentre lei era ancora armata. Il medico il lei decise di accertarsi delle sue condizioni, quindi tenendo la pistola pronta nella mano destra agì con la sinistra sull’apertura d’emergenza del casco spaziale.
Lo spettacolo che le si parò davanti le fece portare la mano alla bocca.
Un volto martoriato di ustioni e cicatrici, parzialmente celato dietro una mascherina cibernetica che copriva tutta la fronte e giù fino oltre gli zigomi. Chiunque fosse quell’uomo, doveva essere passato attraverso l’inferno.
Mise la mano davanti alle labbra di lui per verificarne la respirazione, e qui accadde l’inatteso:
La sua mano passò attraverso le cicatrice. Sayla sgranò gli occhi.
Una mano afferrò con una morsa d’acciaio la sua pistola, strappandola dalla presa e lanciandola via.
Il soldato di Zeon si slacciò la mascherina, rivelando un volto dai lineamenti regolari e intatti incorniciati in lunghi capelli biondi. I suoi occhi, azzurri come quelli di lei, la fissarono.
“Make-up olografico”, ghignò Char, “una ragazza come te di certo ne ha già sentito parlare!”

Una lama di luce investì l’interno del cockpit. Amuro scaraventò senza troppi riguardi Haro sul sedile. Il robot reagì protestando a modo suo: battendo le alucce che ospitavano le sue braccia retrattili e facendo lampeggiare alternativamente i due led che costituivano gli occhi.
Amuro colse il significato ma non si diede troppa pena, sistemandosi a sua volta sul sedile e richiudendo il portello da cui era entrato, ripiombando così nel buio. Sospirò.
Gli sembrava di nuovo di essere da solo, al buio nel letto della sua cameretta. Ma non era nella sua cameretta. Haro, che era pur sempre un robot di compagnia e sapeva leggere bene i bioritmi del suo giovane padrone, scansionò con elettronica precisione tutti i dati biometrici di Amuro.
“Amuro, che fai? Amuro, che fai?”, disse.
“Haro, sta zitto!”. Rispose sgarbato Amuro. Il cockpit si animò. Quadranti e monitor si illuminarono. Una voce sintetica femminile echeggiò nella cabina di pilotaggio:
“Registrata una presenza non autorizzata! Identificarsi!”
Amuro sorrise, aprì il case di Haro e premette un tasto sulla tastiera celata all’interno.
“…Gundam è la nostra sola speranza contro Zeon…”, ribadì la voce registrata di Tem Ray.
La foto dello scienziato apparve istantaneamente, unita ai suoi dati personali, su uno dei monitor.
“Impronta vocale verificata, buongiorno Professor Ray!”, replicò la voce sintetica, che poi aggiunse:
“Anaheim modello RX-78, avviamento!”
Amuro sorrise e afferrò le due leve di comando poste ai suoi lati, mentre i monitor principali si illuminavano e mostravano l’ambiente esterno.

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Re: Gundam: Suit You Up!

Messaggio da Bright » 12/12/2014, 15:54

IV

“È bloccato dall’interno”, urlò da sopra il rimorchio del Gundam superstite il prof. Ray a Bright, “anche il mio accesso da amministratore è stato resettato!”
Tem Ray, a dispetto dei suoi quasi cinquant’anni, scese giù dal rimorchio con un salto, ignorando la piccola scaletta verticale montata sul veicolo solo pochi metri più in là, mostrando la stessa agilità con cui vi era salito nel vano tentativo di fermare suo figlio.
“Cosa facciamo adesso, signore?”, domandò Bright, non poco confuso da questi ultimi, improvvisi sviluppi.
“Corra a recuperare un’altra motrice, dannato imbecille! C’è mio figlio, intrappolato lì dentro!”, rispose furioso l’ingegnere.
“Allora ce l’hai, un cuore, Tem Ray!”, pensò Bright, mentre si voltava alla volta della saracinesca dello spazioporto, ignorando gli insulti dell’impiegato della Anaheim ma non concedendogli parimenti l’educazione di alcuna risposta alle sue richieste.
Un’ombra oscurò improvvisamente la scena, polvere e detriti iniziarono a sollevarsi in dense nuvole rossicce, un sibilo crebbe in intensità, tacitato da uno schianto metallico.
Bright si voltò e vide lo Zaku di Gene, mitragliatore in mano, che sovrastava il rimorchio telonato che custodiva il prezioso prototipo e la vita del giovane che v’era voluto salire a bordo.
Dopo un attimo di smarrimento dovuto all’agghiacciante spettacolo, Tem Ray si voltò verso Bright urlando con tutto il fiato che aveva in corpo:
“Il fuoco di copertura, presto!”

Char si riallacciò il visore sul volto mentre teneva sotto tiro Sayla con la stessa pistola di cui l’aveva disarmata. La ragazza era seduta a terra, le gambe piegate su un lato, e non gli aveva staccato gli occhi di dosso per un istante, i delicati tratti del viso irrigiditi in un’espressione tra il sorpreso e l’inquisitorio. Char stentava a crederlo e certo non aveva voglia né tempo per sincerarsene empiricamente, ma nel suo cuore già sapeva.
Sapeva che quella, a dispetto dei suoi modi così risoluti ed estranei al ricordo che aveva di lei, era sua sorella. E sapeva che lei vedendo il suo volto era arrivata alla medesima conclusione. Per questo stava calandosi di nuovo la maschera sul volto… per eliminare almeno metà di quell’imbarazzante certezza. Ma, da uomo scaltro qual’era, aveva scelto di eliminare o perlomeno ridurre le certezze di lei, non le sue. Arthesia. Chi l’avrebbe mai detto!
Qualcosa, nel visore che celava parte del suo volto e ne alterava il resto tramite una serie di complessi ologrammi, non funzionava più. Nonostante la maschera fosse bene allacciata, le finte cicatrici e bruciature non venivano più proiettate sulle sue guance.
“Poco male”, pensò, “Sono mesi ormai che nessuno mi guarda davvero in faccia, quando mi rivolge la parola”. Dopotutto, le cicatrici non erano visibili attraverso i monitor e il Maggiore Aznable aveva avuto cura di non farsi mai fotografare chiaramente, né prima né dopo il suo falso incidente. In molti, a Zeon, non sapevano che faccia avesse.
Fece per raccogliere il casco spaziale, ma una voce lo congelò.
“Fermo dove sei e getta l’arma!”
Char voltò appena il capo: un gruppo di soldati federali in normal suit lo teneva sotto tiro. Sorrise e si congratulò con sé stesso pensando: “Altro che nave ospedale!”
Alzo le mani senza mollare la pistola, voltandosi verso i nuovi arrivati cosicché potessero vederlo bene.
Quello che sembrava essere il leader del plotone era un uomo sulla cinquantina, coi gradi di Capitano di Vascello sulla tuta spaziale. “Il comandante della nave, nientemeno!”, si sorprese Char. L’attacco scellerato di Gene doveva aver messo i Federali in crisi assai più di quanto fosse lecito aspettarsi. Anche l’ufficiale anziano lo squadrò con attenzione, poi disse:
“Maggiore Aznable...”
Già, a Zeon molti non conoscevano il suo aspetto. Ma il nemico federale aveva imparato a riconoscerlo al volo, e bene. Effetto collaterale del timore, evidentemente.
“Maggiore Char Aznable, sappiamo chi é lei”, continuò Cassius, “non ci costringa a spararle, preferiremmo non doverlo fare. Getti la pistola e lasci la ragazza!”
La ragazza! Char fu assalito da un dubbio atroce… forse i Federali sapevano del suo segreto... del loro segreto? Doveva scoprirlo. Doveva agire in fretta.
Abbassò la mano che impugnava l’arma ma, invece che gettarla via, la puntò diritta alla testa di Sayla. Cassius non fece una piega e disse semplicemente:
“Come preferisce… Fuoco!”
I soldati iniziarono a sparare, ma Char, pago dell’aver verificato il suo dubbio, fu assai più svelto: spinse Sayla di lato, accese il jetpack e schizzò in volo prima che le raffiche potessero raggiungerlo, poi si infilò il casco e disse: “Slander, ora!”
Un singolo colpo da 300mm piombò nel bel mezzo del plotone, lanciando i militari per aria come stracci e sollevando una densa nuvola di polvere.
Paolo Cassius si trascinò bocconi fuori dalla coltre, ansimando e gemendo, mentre una figura gli si faceva vicino e lo aiutava a voltarsi supino.
“Tutto bene?”, chiese a fatica lui.
Sayla annuì, poi abbassò lo sguardo sul petto dell’anziano comandante: era letteralmente crivellato da macchie purpuree.
“Devi… aiutarmi a fare una… cosa!”, gemette l’ufficiale.

Gene atterrò pesantemente sulla piattaforma su cui s’affacciava lo spazioporto nord. Avrebbe potuto atterrare più docilmente, ma le scorte di energia iniziavano a scarseggiare e un bell’atterraggio senza vernier faceva sempre il suo effetto sul nemico, specie se esso era costituito da uno sparuto gruppo di tecnici disarmati e a piedi. Adesso, aveva l’appetitoso bottino della sua intera azione al centro del monitor: un rimorchio privo di motrice su cui era caricato qualcosa, verosimilmente il prototipo di un nuovo Mobile Suit, quasi totalmente coperto da un doppio telo di colore verde-azzurro. Gene si leccò le labbra gustando il sapore salmastro del suo sudore, causato dall’ eccitazione di quell’istante. Il sapore della vittoria, pensò, il sapore dell’onore, il sapore di una promozione tra i suoi ranghi. Decise di contattare il Sergente Maggiore Denim prima di agire… voleva che fosse ben chiaro che quella sarebbe stata l’ultima volta che gli avrebbe parlato da subalterno.
“Denim da Gene, tally-oh, sweet lock-on, candy… one-five”.
Lo zelo nella voce e l’inusuale utilizzo della terminologia procedurale corretta fece trasalire Denim nel suo abitacolo: quel matto voleva distruggere anche l’ultimo prototipo, aveva ancora quindici colpi per procedere ed il bersaglio già agganciato!
“Gene da Denim, negativo, hold-your-fire, ripeto, hold-your-fire, ordine diretto dell'OpCom!”, rispose di getto e quasi urlando l’ex-sergente, riportando al suo sottoposto l'ordine datogli da Char, “non danneggiare in alcun caso l'ultimo prototipo”.
I microfoni esterni captarono e fecero risuonare nel cockpit dello Zaku di Denim il boato ritmico di una raffica. Denim chiuse gli occhi, aspettandosi il peggio dallo scellerato compagno.
Ma la voce che crepitò nelle sue cuffie apparteneva al più giovane della sua pattuglia:
“Denim da Slander, c’è qualcosa che non va, presta soccorso a Gene!”
Denim riaprì lentamente gli occhi e guardò sul monitor principale settando il massimo ingrandimento:
Lo Zaku di Gene era in ginocchio al lato del prezioso rimorchio, apparentemente disarmato e bloccato in un qualche modo… mentre un braccio metallico dipinto di bianco era emerso da sotto il telone protettivo, aveva afferrato la testa del Mobile Suit di Zeon e adesso la torceva e la scuoteva, come fosse intenzionato a strapparla via con la sola forza bruta…

Il cockpit ora era illuminato in maniera intermittente. La luce proveniva da tre grandi schermi panoramici montati di fronte e ai lati del sedile di pilotaggio che mostravano l'ambiente esterno a 180 gradi. L'intermittenza della stessa era dovuta al doppio telone verde-azzurro che copriva quasi totalmente il Mobile Suit, correndo da poco sotto la telecamera principale montata in cima alla testa fino alla punta dei piedi. La battaglia all'interno di Side 7 aveva probabilmente danneggiato il computer del controllo meteo, quindi adesso l'interno della colonia era battuto da un vento artificiale ostinato che, se da una parte dissipava i fumi degli incendi, dall'altra ne alimentava le fiamme. E batteva e agitava qualunque cosa potesse oscillare alla brezza, compreso appunto il telone protettivo.
Le dita di Amuro battevano veloci sui tasti, alternandosi tra la consolle principale del Gundam e la minuscola tastiera di Haro. Il giovane stava copiando affannosamente e a mano le impostazioni per il combattimento che aveva rubato dal computer del padre e usato sul simulatore di Guncannon quella stessa mattina. Di tanto in tanto, i conti non tornavano ed era costretto ad improvvisare.
“Questo affare somiglia al Guncannon solo apparentemente!”, si trovò a pensare.
Haro prese a saltellare sulle sue ginocchia, attirando la sua attenzione mentre ripeteva con la sua squillante voce sintetica:
“Mamma mia, guarda là! Mamma mia, guarda là!”
E Amuro vide.
Vide, attraverso uno dei tre monitor, uno Zaku color verde smeraldo che atterrava pesantemente a pochi passi da lui. Il Mobile Suit di Zeon gli mostrava un fianco, ma sembrava intenzionato a ruotare verso di lui non appena avesse riguadagnato il pieno equilibrio sulle sue titaniche gambe.
Il terrore paralizzò Amuro per un istante, facendo scivolare Haro dalle sue ginocchia giù sul fondo dell'abitacolo. Poi, il senso di autoconservazione ebbe il sopravvento, le mani trovarono le leve di comando quasi da sole, mentre sui monitor apparivano complicati grafici per l'identificazione del nuovo arrivato e uno schermo più piccolo, montato su un braccio oscillante, emergeva automaticamente da dietro il poggiatesta del sedile per frapporsi tra il volto di Amuro e quella paurosa visione.
La mano sinistra del ragazzo si serrò su una cloche. Il pollice, come dotato di vita propria, premette il tasto più prominente.
Il ronzìo di un motore elettrico che andava in rotazione precedette di un istante il deflagrare ritmico di una mitragliata.

Bright ristette alla vista dello Zaku che atterrava a nemmeno dieci metri da lui, quasi facendosi cadere di mano il microtelefono col quale avrebbe dovuto chiedere rinforzi. Al suo fianco, Tem Ray, sicuramente più avvezzo a simili incontri, si era voltato verso di lui e gli strillava qualcosa mentre il giovane ufficiale si scopriva incapace anche solo di ascoltarlo, paralizzato com'era dal terrore.
Lo Zaku fletté sulle ginocchia per compensare il contraccolpo dell'atterraggio, poi ruotò la testa verso il rimorchio, ormai inerme, riconquistando lentamente una piena postura eretta e ruotando il torso e, ben più importante, il suo mastodontico fucile mitragliatore da 300mm verso il prezioso carico. Bright non se la sentì e chiuse gli occhi.
Una raffica fece vibrare l'aria e fece tornare il giovane in sé. Anche con gli occhi chiusi aveva percepito che quei colpi erano stati esplosi altrove, non provenivano dallo Zaku.
La prima cosa che vide fu Tem che adesso gli dava le spalle e non gridava più.
Poco più in là, vampate provenienti da una qualche bocca da fuoco perforavano il telone del rimorchio federale, esplodendo colpi che si abbattevano sullo Zaku all'altezza degli avambracci.
Bright fece appena in tempo a lanciarsi sull'irascibile ingegnere della Anaheim e spingerlo via prima che le mani amputate dello Zaku, con ancora in pugno il fucile, piombassero al suolo là dove i due federali sostavano poco prima.
Poi, fu il turno dei cigolii.
Bright, ora carponi al suolo, alzò lo sguardo. Pur non essendo un pilota, sapeva bene che lo Zaku era uno dei primissimi Mobile Suit dotati di gambe. Il suo sistema di gestione dell'equilibrio era perfino più arretrato di quello del Guncannon... non c'era modo che, a fronte di un cambio del bilanciamento nel suo peso come appunto la perdita istantanea di entrambe gli avambracci, una macchina come quella potesse restare in piedi.
Seguì con la bocca aperta le oscillazioni del Mobile Suit verde mentre si sbilanciava all'indietro, quindi cercava goffamente di compensare, quindi cadeva a faccia in avanti tentando di ripararsi protendendo i due moncherini che vomitavano fumo e scintille dalle estremità... giù, dritto sul rimorchio.
Ma non vi arrivò mai.
Con un potente strattone, un braccio meccanico meccanico laccato di bianco lucido e lungo oltre sei metri emerse da sotto il telone verde-azzurro. Alla sua estremità, una mano larga un metro e mezzo, che sembrava inguantata con neoprene, piantò le lunghe dita nel visore posizionato al centro della testa dello Zaku, modificandone la caduta e costringendolo in ginocchio.
Poi, le dita si serrarono sul grosso tubo che attraversava orizzontalmente la metà inferiore della testa del Mobile Suit... il braccio smise di spingere e iniziò piuttosto a tirare.
“É come se cercasse un appiglio per alzarsi in piedi!”, si stupì a pensare Bright.
Il rimorchio iniziò ad oscillare alternativamente sui lati... gli ammortizzatori delle gigantesche ruote protestarono con dei sinistri cigolii... i legacci elastici che tenevano il telone in posizione si tesero uno ad uno, poi iniziarono a spezzarsi... il lato destro del telone cedette, una gigantesca gamba meccanica bianca svettò in verticale per poi descrivere una parabola e piegarsi piantando al suolo un piede grande come una grossa autovettura... più in là, una seconda mano emerse da sotto la copertura puntellandosi aperta per terra e sollevando una nuvola di polvere... i legacci sul lato opposto cedettero a loro volta, rivelando una presa d'aria contornata di vernice gialla, dal cui interno emerse un soffio di vapore accompagnato da un sibilo crescente che fendette l'aria dentro Side 7.
“Non può averlo fatto...”, pensò ad alta voce Tem Ray.
Bright fece per rispondergli qualcosa, quando un secondo sibilo di turbina unito ad un tonfo sordo lo raggiunse alle spalle. I due uomini si voltarono e videro un secondo Zaku che era appena atterrato, in maniera assai meno teatrale del primo, una ventina di metri più a monte.
Un'ombra sorvolò i due spettatori inermi, rubando ancora la loro attenzione.
Dopo una breve parabola, la testa dello Zaku di Gene atterrò ai piedi del Mobile Suit di Denim.
Bright tornò a guardare verso il rimorchio e vide finalmente il Gundam in piedi che impugnava con entrambe le mani quel che restava del primo Zaku, per poi gettarlo da parte come fosse un sacco dell'immondizia.
Bright tornò a guardare lo Zaku superstite, bloccato davanti alla testa mozzata del suo compagno, e si sorprese a immaginare quanto più macabra sarebbe stata quella scena se, al posto di giganteschi robot, ci fossero stati uomini.
“Sembra una sfida”, pensò, tra sé.

L'ex Sergente Maggiore Denim era un pilota molto esperto e scafato. Prima di arruolarsi nell'esercito territoriale di Munzo poi diventato l'esercito di Zeon, e molto prima di mettersi ai comandi di un Mobile Suit, era stato in servizio nella fanteria dell'esercito federale per quattro anni. Non amava ricordare quel periodo, per quanto gli riconoscesse il suo valore formativo.
“Ho visto ogni genere di schifezze”, era generalmente la prima frase che pronunciava a proposito delle EFGF. Al di là delle critiche incerimoniose, aveva imparato come la Federazione agiva nel campo dei nuovi armamenti, come questi venivano presentati alla gerarchia militare ed alla classe politica che li dovevano selezionare per l'acquisto e l'impiego.
Per questo, quando riuscì a distogliere lo sguardo da ciò che restava dello Zaku di Gene, la vista del nuovo nemico fece scattare più di qualche molla in lui.
Il nuovo modello federale era un umanoide slanciato, dall'apparenza agile, privo di una blindatura pesante e goffa come quella del già noto Guncannon. Se avevano potuto permettersi di non fornirgli alcuna protezione, doveva per forza essere stato realizzato in qualche lega speciale. Altro tratto umanoide che colpì da subito Denim era la presenza di due occhi nella testa. Finora tutti i Mobile Suit entrati in servizio per ambo gli schieramenti avevano usato un sistema mono-eye. Questo era qualcosa di difficile, da spiegarsi. Da quanto si poteva capire, questo modello aveva due sensori pensati per fornirgli una vista binoculare di tipo umano, eppure non potevano essere la telecamera principale, visto il loro posizionamento svantaggioso per la visuale del pilota... forse quegli occhi non erano asserviti al pilota, ma al puntamento delle armi? Già, le armi... contrariamente ai suoi predecessori, questo Suit non sembrava avere armi incorporate, fatta eccezione per i cannoncini Vulcan con cui aveva attaccato Gene, bocche da fuoco minori e che di certo non potevano sostenere un combattimento da sole!
Tuttavia, ciò che colpì di più in assoluto Denim fu la livrèa. Un corpo quasi interamente laccato in bianco, con il solo torso dipinto in blu e rosso, più alcuni elementi gialli. Qui e là erano ancora leggibili, seppur parzialmente cancellati con un sottile strato di vernice, gli identificativi della macchina: “RX-78-2”. Questa sigla era individuabile un po'ovunque, sul corpo, su una spalla, su un ginocchio, su un lato della testa.
“Gene, accidenti a te, sei finito dritto in bocca ad un maledetto superprototipo!”, pensò mestamente Denim.
Fin dal XX secolo, il “dimostratore di tecnologie”, detto anche volgarmente “superprototipo”, era una macchina costruita per testare nuove soluzioni in determinate applicazioni dei settori aereo, spaziale e, ovviamente, militare. Si trattava di esemplari che raramente raggiungevano lo stadio di produzione in serie così per come erano, proprio perché implementare tutte quelle caratteristiche aveva dei costi esorbitanti che nemmeno la produzione su vastissima scala avrebbe ammortizzato. Tuttavia, queste spese erano invece giustificate nel più ridotto campo delle sperimentazioni, e spesso da un singolo superprototipo potevano nascere svariate tipologie di prototipi propriamente detti, ognuno dei quali implementava solo parte delle soluzioni d'avanguardia... generalmente quelle ritenute più immediatamente utili da chi commissionava lo studio.
Nel primo secolo U.C., l'invenzione del reattore nucleare compatto alimentato ad Elio-3 e la scoperta che gli scarti di questo tipo di generatori erano le famigerate particelle Minovsky, capaci di disturbare lo spettro elettromagnetico e quindi le radio e i radar, aveva reso possibile l'impiego in battaglia dei Mobile Suit, che si erano evoluti come una sorta di anello di congiunzione tra il cacciabombardiere ed il tank. Le loro dimensioni non erano un problema, visto che sostanzialmente ormai si combatteva a vista nonostante le armi avessero gittate che potevano andare ben oltre il campo visivo. Per questo si usava verniciare le unità con colori mimetici o a bassa osservabilità: per rendere più difficoltoso al nemico o a un qualsiasi altro osservatore la localizzazione del Mobile Suit.
In questo caso però non si era cercato affatto il mimetismo, anzi: i colori erano sgargianti e differenziati, troppo stridenti tra loro per poter pensare che quella livrèa fosse frutto dell'ego megalomane di qualche pilota come era avvenuto col Maggiore Char. No, Denim aveva capito qual'era lo scopo di quella macchina proprio perché quella era una scelta di colori tipica di un'arma che deve essere provata in un poligono, rimanendo sempre ben visibile da potenziali acquirenti che non necessariamente fossero addestrati a scovare a vista un Mobile Suit. Quel rosso messo proprio lì in mezzo, tra blu e bianco, senza motivo, era il tipico espediente per dire al personale valutatore “eccomi, sono qui!”. E tutte quelle tag riportanti il medesimo numero di identificazione non volevano dire nulla di buono: erano una firma, ripetuta, come se i progettisti fossero davvero entusiasti di quella macchina. E tornavano utili per dire “quello che vedete lo ha fatto non un MS qualunque, ma l'RX-78!”. Il che comportava che quel Suit doveva essere in grado di fare cose incredibili, senza precedenti, rimuginò Denim. Le cose non suonavano affatto bene.
Poi, c'era da considerare il pilota. Se quello era un superprototipo come sembrava, ai comandi ci doveva essere senz'altro il “Top Gun” dei piloti collaudatori federali. Un osso duro temprato da vittorie in chissà quanti combattimenti reali.
Il Mobile Suit federale, dopo pochi secondi che sembrarono ore, si mosse sporgendo la testa in avanti, la posizione ideale per usare i cannoncini Vulcan montati sulle tempie.
Denim percepì distintamente un nodo alla gola, mentre una goccia di sudore freddo gli tagliava a metà la schiena. Diminuì, senza quasi accorgersene, la pressione sul pedale di destra, facendo eseguire al suo Zaku un mezzo passo indietro.
Il suo temibile nemico fece fuoco, ma partì un solo colpo, che peraltro mancò Denim di quasi cinque metri... “un errore inaccettabile, ad appena venti metri di distanza dal bersaglio!”, disse una vocina nella testa dell'ex sottufficiale di Zeon.
Denim guardò meglio: quella mostruosità bianca rimaneva in posizione di tiro, senza correggerlo, mentre i cannoncini multicanna vulcan frullavano l'aria emettendo un forte ronzìo ma senza esplodere un solo colpo. Denim sorrise.
Non solo il pilota aveva una pessima mira, ma aveva anche finito le munizioni!
Forse, tutto sommato quel prototipo non era affatto il mostro che aveva creduto in un primo momento, ma un esemplare incompleto con ai comandi un tecnico della Anaheim piuttosto che un pilota, un principiante molto fortunato.
“In tal caso”, pensò Denim, “la tua fortuna finisce qui!”
Fece puntare al suo Zaku il fucile pronto in posizione di tiro.

“Non riesco a contattare il Comandante Cassius!”, protestò il sergente Job John.
Il suo interlocutore era il trentatreenne Capitano di Corvetta Donald Zucker, comandante in seconda della White Base. All'ordine del comandante Cassius di procedere alla distruzione manuale dei due prototipi, tutto il personale non direttamente impegnato nel recupero del primo rimorchio era stato destinato in due improvvisate squadre di guastatori, i team “Alpha” e “Bravo”. Al comando della squadra Alpha, destinata alla distruzione del rimorchio più lontano, c'era Cassius stesso. A Donald era toccato il comando della squadra Bravo, e non faceva che domandarsi se anche il suo anziano comandante avesse incontrato una piccola squadra d'incursori di Zeon a difesa del loro obbiettivo.
Nonostante la squadra federale superasse in numero il nemico, erano stati assaliti di sorpresa, decimati e infine costretti a trovare riparo dal tiro delle armi da fuoco di esso, che ora si frapponeva con ferocia tra loro ed il rimorchio numero due.
Ma il problema più grave non era questo, adesso. Zucker aveva una certa esperienza in esplosivi e Mobile Suit: prima di diventare comandante in seconda della nuova astronave federale, era stato ufficiale esecutivo nello sperimentalissimo Primo Battaglione Robotizzato Mobile. Si era quindi reso conto di quanto far esplodere macchine come quelle, dotate di generatori a fusione nucleare, all'interno di un cilindro ermetico quale Side 7 non fosse, in effetti, una buona idea. Una sola di quelle esplosioni sarebbe bastata a forare il corpo della Colonia Spaziale, risucchiando tutto il suo contenuto nello spazio a causa di un fenomeno chiamato “Decompressione Esplosiva”. La decompressione avrebbe potuto perfino lacerare Side 7 fino a farlo completamente a pezzi, compromettendo la sopravvivenza della White Base.
Sebbene esistessero delle procedure d'emergenza per contrastare simili sciagure, esse erano state studiate qualora un meteorite avesse colpito le colonie dall'esterno, non per deflagrazioni interne.
L'unica opzione di facile esecuzione sarebbe stata attivare le misure anti-meteorite prima di fare esplodere i prototipi, per questo spronava il suo sottoposto, poco più di un ragazzo e certo non un esperto in comunicazioni laser, a contattare Cassius per decidere assieme una strategia. Già, sarebbe stato assai più facile puntare il commlink verso lo spazioporto nord in cima alla collina e contattare Tem Ray che, dall'alto sua posizione, avrebbe potuto facilmente riportare il messaggio a Cassius... ma Zucker non riponeva nell'ingegnere la stessa fiducia del suo Comandante, anzi. Probabilmente, Ray avrebbe sfruttato la situazione a suo vantaggio per tornare alla carica e chiedere il recupero di tutti i prototipi, una cosa inaccettabile vista la situazione. No, meglio parlarne col comandante e solo con lui. Nemmeno il resto del Team Bravo era stato messo al corrente del problema, erano troppo giovani e la cosa peggiore che potesse capitare a quel punto era che tra i suoi uomini si diffondesse il panico. I pensieri di Zucker lo portarono ad una distrazione eccessiva e una raffica proveniente dalla direzione opposta a quella da cui si era finora riparato falciò altri tre dei suoi uomini, risparmiando solo lui e Job John.
“Maledizione, ci hanno aggirato!”, urlò al sergente che aveva già lasciato da parte il commlink e ripreso a sparare nella nuova direzione della minaccia.
Uno sparo raggiunse il comandante da dietro, attraversandogli ìl petto. Job John si girò di nuovo e lo vide cadere al suolo, esanime. In piedi su un muro diroccato che li sovrastava di tre metri c'era un altro soldato di Zeon fasciato nella sua normal suit verde e con l'arma puntata, pronta per il colpo di grazia. John chiuse gli occhi in attesa dell'inevitabile, ma al posto dello sparo, sentì un tonfo. Quando riaprì gli occhi il soldato giaceva inanimato al suolo, mentre un ragazzo di bassa statura e dai tratti orientali si trovava dove fino a poco prima c'era il nemico, bloccato in una posizione di guardia da judoka esperto.
Job, spaventato, gli puntò contro l'arma.
“Chi sei, cosa ci fai qui, che vuoi?”, gridò istericamente.
Il giovane alzò le mani deluso e disse: ”Mi chiamo Hayato Kobayashi, abito qui vicino e volevo aiutarvi”.

Char risalì la parte Sud della colonia compiendo una serie di salti controllati, supportati dai razzi vernier montati sul jetpack della sua Normal Suit, fino ad arrivare al boccaporto di servizio in cima ad una rupe sulla quale svettava lo Zaku del Sergente Slander, inginocchiato sulla gamba destra e col rifle puntato a valle, in posizione di tiro.
Atterrò nelle vicinanze del piede sinistro e poggiò la mano su di esso per attivare l'interfono a sfioramento.
“Notizie dalla squadra di Cozun?”, domandò al giovane sottufficiale.
“Nessun contatto da cinque minuti, Maggiore”, riportò preoccupato Slander, “l'ultima comunicazione riportava uno scontro a fuoco con un plotone di Federali nelle vicinanze dell'installazione della Anaheim, immagino ancora in corso, ma il fumo a valle é troppo denso per vederci qualcosa od usare le comunicazioni laser.”
Char se lo aspettava. Puntò il suo binocolo pieghevole verso il lato opposto di Side 7, allo Space Gate Nord, e inquadrò lo Zaku di Denim che teneva sotto tiro il Mobile Suit bianco della Federazione Terrestre.
“E che mi dici di quello?”, domandò ancora a Slander, “hai visto cosa ha fatto a Gene?”
“Visto e registrato, Comandante.”, piagnucolò Slander, aggiungendo: “...quel mostro é impressionante!”
Char rise, dentro di sé, della mancanza di spina dorsale del suo giovane subordinato. Per lui, Slander non era altro che una copia ridotta di Denim o di Dren, sicuri e spavaldi fintanto che la situazione era propizia, ma pronti a mostrare la loro reale, pavida natura alla prima avvisaglia di una battaglia difficile, o anche semplicemente fuori dai canoni, come si stava dimostrando appunto quella.
Tornò ad osservare, attraverso il suo minuscolo binocolo digitale, il mirabolante prototipo federale mancare lo Zaku di Denim e continuare con lo stesso attacco nonostante non avesse più munizioni. Vide Denim riprendere sicurezza e avanzare.
“Idiota”, pensò, “quell'affare ha già dimostrato di poter fare a pezzi uno Zaku a mani nude!”
Poggiò nuovamente la mano sulla corazza del Mobile Suit di Slander e parlò all'interfono:
“Ribadisci a Denim che voglio quel Suit intero e di non provare nemmeno a farsi venire l'idea di colpirlo! Piuttosto, facciamogli capire che é circondato! Spara un colpo d'avver...“
“Signore, cosa diavolo é quello?”, lo interruppe Slander.
Char si voltò: un grosso aeromobile era decollato dal campus universitario situato poco più lontano dell'ex complesso Anaheim.

Lo Shuttle-Ambulanza della Facoltà di Medicina di Side 7 era un vecchio autogiro da trasporto della classe Gunperry, i cui motori a reazione erano stati sostituiti con dei vernier a razzo per garantirne una minima operabilità in assenza d'atmosfera nello spazio immediatamente vicino alla Colonia Spaziale.
Sayla assicurò il Comandante Cassius sul sedile del secondo pilota, avendo cura che le cinture di sicurezza non stringessero sulla fasciatura d'emergenza che gli aveva praticato sulle ferite.
“Hai... capito bene cosa devi fare?”, domandò con un filo di voce l'anziano ufficiale.
“Sì, Comandante, non dovrei avere problemi”, lo rassicurò lei mentre spostava la sua attenzione sui controlli pre-decollo.
“Sai”, aggiunse lui, “prima ho avuto... come la sensazione...”
Sayla si voltò di scatto. Cassius la guardò fisso negli occhi.
“Char non aveva alcuna intenzione di spararti, né di permetterlo a noi!”, concluse, tutto d'un fiato.
“Già”, pensò Sayla, “l'asso di Zeon di cui parlano i giornali, l'uomo del mistero venuto dal nulla e che nasconde le sue reali fattezze dietro uno squallido trucco da baraccone... mi ha salvato la vita due volte in pochi minuti ed é rimasto di sale al sentirmi citare Zeon Daykon!”
Non si sentì di continuare a percorrere il sentiero logico segnato da tutti quegli indizi, qualcosa dentro di lei le aveva detto già dove portava. Quella conclusione non le piaceva affatto.
“Resista”, cambiò discorso lei afferrando la cloche e la manetta dei motori, “Decolliamo!”
Cassius lasciò cadere il capo sul poggiatesta e chiuse gli occhi mentre l'abitacolo vibrava.
Il Gunperry si alzò di meno di dieci metri dal suolo e inclinò i suoi tre rotori in avanti, portandosi con uno scatto invidiabile, data la mole del velivolo, a metà strada tra quello che era stato il quartiere civile di Side 7 e le rovine dell'installazione della Anaheim. Qui si fermò in hovering, mantenedo la bassa quota.
Nell'abitacolo, Sayla accese i tracciatori laser posti sotto lo scafo dell'aeromobile e li regolò: uno su un ricevitore fisso, l'altro alla ricerca di una ricetrasmittente in movimento. Infilò una cuffia con microfono.
“Team Bravo da Gunperry, ho l'Alpha Leader a bordo, domando situazione”, disse al trasmettitore.
Dopo innumerevoli secondi di silenzio, una voce inframmezzata dai crepitii degli spari parlò in cuffia:
“Gunperry da Bravo, grazie al cielo, non possiamo raggiungere il bersaglio, un plotone di incursori nemici ci sbarra il passaggio!”
“In quanti siete, Bravo?”
“Sergente Job John, unico superstite. Ho con me un civile”.
Qualcuno laggiù, pensò Sayla, stava combattendo con le unghie e con i denti. Regolò meglio l'altro emettitore laser, poi riprese il contatto.
“Bravo da Gunperry, illuminate il bersaglio col ricetrasmettitore laser e allontanatevi, ci pensiamo noi!”
“Roger Gunperry, ripieghiamo, riportami quando hai il tono!”
Sulla consolle, apparve un terzo segnale laser. Sayla serrò l'indice destro sul grilletto anteriore della cloche.
“Ho il tono su entrambe i bersagli”, disse infine, “trasmetto l'impulso!”
Premette il grilletto.
Un preciso segnale venne trasmesso dai due fasci laser che partivano dal Gunperry, fino ai detonatori montati sui due rimorchi che trasportavano gli altri prototipi federali.
Quei fasci laser erano progettati per inviare istruzioni d'emergenza a persone o veicoli in difficoltà. Quella mattina, invece, trasmisero ai timer sui detonatori l'ordine di armarsi.

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Re: Gundam: Suit You Up!

Messaggio da Bright » 12/12/2014, 15:57

V


Il Sottotenente Pilota Ryu José aveva a malapena vent'anni. Nonostante la sua giovane età, era stato impegnato nella guerra con Zeon fin dal primo giorno, in parte a causa dei suoi brevetti da pilota civile, ma soprattutto a causa delle sue origini spazianoidi. Nei primi mesi del conflitto, l'esercito Federale aveva impiegato quasi esclusivamente truppe nate e cresciute nello spazio. Alle accuse di razzismo, le alte sfere delle Forze Federali avevano risposto che era più logico usare gente abituata all'ambiente spaziale, visto che quella guerra era sicuramente destinata a compiersi interamente nella Sfera Terrestre ma mai sarebbe arrivata sul pianeta madre. All'indomani dello sbarco delle forze del Principato sulla Terra, visto che la dominante di coloni spaziali tra le fila federali non accennava a scemare, il Gran Consiglio aveva scelto un agnello sacrificale da dare in pasto ai media per mettere a tacere quello che ormai era sotto gli occhi di tutti. Fu così che Ryu si trovò ad operare di scorta ad un rappresentante dell'elite terrestre quale il Generale di Corpo d'Armata Abraham Revil. Ufficiale caparbio e scaltro, Revil era inviso ai suoi superiori per le sue capacità militari ben documentate in numerosi conflitti interni e, soprattutto, per la sua innata capacità di farsi apprezzare dai sottoposti. Uno come Revil, finito il conflitto, sarebbe potuto entrare in politica contando su un impressionante zoccolo duro di elettori attivi, visto che solo chi aveva prestato servizio militare aveva diritto di voto e, da che mondo e mondo, i soldati semplici erano assai più dei generali.
Mandarlo a morire in mezzo alle truppe di feccia spazianoide che tanto amava sembrava una mossa politica assai ponderata: avrebbe fornito un martire, un martire Terrestre nel mucchio di martiri coloniali, e liberato una poltrona da un sedere diventato troppo scomodo. Purtroppo Zeon non aveva ucciso Revil, lo aveva semplicemente preso in ostaggio e, peggio ancora, gli aveva fornito la possibilità di fuggire e parlare ai suoi uomini. Il suo discorso ribattezzato “Non ci sono soldati nel principato di Zeon” lo aveva reso l'eroe che il Governo Federale non avrebbe mai voluto, e incendiato gli animi dei soldati da prima linea come Ryu, accentuandone il disappunto verso l'elite Terrestre che nulla aveva fatto per salvare il comandante supremo del suo stesso esercito.
Per questo Ryu era diventato un feroce combattente, ma anche un contestatore parimenti feroce. La sua abitudine di parlare troppo schiettamente alle persone sbagliate gli aveva causato l'impiego in una base sperduta su Side 7 condannandolo, a dispetto dei suoi brevetti e delle sue abilità, a fare da reclutatore di altri spazianoidi come lui. Dover constatare giorno dopo giorno la ritrosìa dei civili ad impegnarsi in un conflitto che aveva ormai travalicato le sue connotazioni politiche per diventare una vera e propria guerra civile, era per un militare fiero come lui uno stillicidio. Quotidianamente incontrava persone come Kai Shiden che, pur consapevoli della posta in gioco, esigevano vigliaccamente che fosse qualcun altro a fare il lavoro “sporco”. Ryu percepiva questo modo di agire come profondamente ingiusto, di certo non molto migliore di quello dell'Elite che mandava al macello i cittadini coloniali. Se un certo razzismo tra Terrestri e Spazionoidi, quantunque ingiusto, non era certo una sorpresa, il razzismo tra spazionoidi era qualcosa di semplicemente folle. Perché anche su Side 7 c'era chi contestava la EFSF per non aver ancora sbaragliato Zeon, salvo poi negare il proprio apporto per aiutare ad ottenere quel risultato. L'indifferenza alla guerra, data la situazione, sarebbe stata un atteggiamento di gran lunga più rispettabile.
Poi, ogni tanto saltava fuori qualche sorpresa, come la ragazza orientale che s'era offerta come pilota volontaria quella mattina, al centro di reclutamento. E adesso quel giovane di cui aveva sentito, quello che era salito su quel prototipo e aveva fatto a pezzi uno Zaku, mettendosi nei guai.
Quando Ryu aveva imprigionato Kai dentro ad un Guncannon in manutenzione, non aveva ancora ben chiaro l'uso che ne avrebbe fatto... ma adesso, vedendo la situazione coi suoi occhi e non attraverso i monitor, gli venne un'idea.
Lo Zaku si stagliava proprio di fronte alla saracinesca che separava l'hangar in cui era ormeggiata la White Base dall'interno di Side 7, dandole le spalle. Il Mobile Suit di Zeon teneva sotto tiro il prezioso prototipo federale che era apparentemente disarmato.
“Aprite la saracinesca di servizio ed il portello della catapulta di sinistra!”, ordinò al Sergente Omur, che stavolta eseguì senza fiatare.
Ryu guardò il Guncannon come se potesse vedere Kai Shiden, al suo interno. Non sapeva praticamente nulla di Kai, se non che era un pilota militare brevettato e che non voleva saperne nulla di farsi coinvolgere nella guerra. Una volta liberato, sarebbe di certo scappato. Nel farlo, forse, avrebbe fornito al Gundam il diversivo che serviva.
“Puntate la catapulta in direzione dello Zaku e preparate il Guncannon per il lancio!”, ordinò ancora.
“Lanciarlo direttamente contro lo Zaku? Ma non sono nemmeno cento metri! Si schianterà sull'altro come una boccia da bowling!”, trasalì stavolta il tecnico.
Ryu calò pesantemente una mano sulla spalla di Omur.
“Esatto. Fammi vedere un bello strike!”, sorrise Ryu.
Omur, perplesso, prese il suo commlink e comunicò i dati per la correzione dell'angolo di lancio, guardandosi bene dall'indicarne la motivazione.
Tre secondi dopo, il Guncannon rosso era sulla catapulta, e le luci nell'hangar passarono dal rosso al verde.

“Bright, maledizione, chiami i rinforzi!”, gridò Tem Ray al giovane ufficiale che ancora osservava, rigido come fosse in trance, lo stand-off tra lo Zaku di Denim e il Gundam.
L'ingegnere infine lo afferrò con entrambe le mani e lo scosse.
“Bright, per l'amor del cielo, usi quel maledetto commlink! C'é mio figlio, là dentro!”
Bright si scosse dal suo torpore. Guardò il ricetrasmettitore che teneva, quasi inconsapevolmente in mano.
Il professor Ray glielo strappò e fece per attivarlo da solo, ma, sorprendentemente, l'oggetto si animò prima che potesse usarlo. Una chiamata in arrivo.
“A chiunque sia in ascolto al North Space Gate, qui Eliambulanza Gunperry in hovering sul centro di reclutamento federale”, disse una voce femminile.
Bright strappò di mano a sua volta il comunicatore a Ray, mentre cercava con lo sguardo l'aeromobile. Lo trovò esattamente dove gli era stato riferito che si trovava.
“Gunperry, parla il Sottotenente Noah Bright delle Forze Federali, identificatevi e dichiarate le vostre intenzioni”, sbottò.
“Da Gunperry, abbiamo l'Alpha Leader a bordo e stiamo recuperando i superstiti del Bravo Team, le cariche sono armate ed in countdown, ripeto cariche armate ed in countdown, stimato per il brillamento: due primi”, replicò la donna, senza identificarsi.
“Ce l'hanno fatta!”, si fece sfuggire Bright con un sorriso.
“No!”, urlò Tem Ray, “no!”
Prima che Bright potesse fare qualunque cosa, l'ingegnere era saltato su una delle jeep elettriche superstiti ed era partito a tutto gas dirigendosi a valle. No, dovette ricredersi il giovane militare, Tem Ray non aveva a cuore altro che le sue macchine e la richiesta di salvare il figlio rinchiuso dentro una di esse era solo una scusa per garantire anche la salvezza del prototipo, rifletté.
Il sinistro sibilo prodotto dal braccio dello Zaku di Denim che alzava il fucile puntandolo verso il Gundam richiamò la sua attenzione mentre alle sue spalle, oltre la saracinesca di servizio che portava allo spazioporto, uno dei portelli anteriori della White Base iniziò ad aprirsi...

Nell’abitacolo la temperatura s'era abbassata di parecchio a causa del potente sistema di condizionamento che doveva garantire un idoneo microclima per il funzionamento delle numerose apparecchiature piuttosto che per il comfort del pilota. Nonostante ciò, Amuro sentiva il sudore colargli lungo la schiena.
Continuava a premere ossessivamente il tasto in corrispondenza del suo pollice sulla cloche di sinistra, ma tutto ciò che otteneva era un sibilo sintetico e un laconico messaggio su schermo che recitava “Vulcan: No Ammo”.
Su quello stesso schermo, parzialmente celato dal messaggio in sovrimpressione, il secondo Zaku lo teneva sotto tiro col suo gigantesco fucile mitragliatore.
Amuro iniziò a maledire la sua malsana idea di impadronirsi del Gundam. Quella macchina era troppo diversa dal Guncannon, dove erano le altre armi? Il vecchio tipo 77 sceglieva autonomamente se fosse più conveniente far fuoco coi Vulcan piuttosto che coi potenti obici o i lanciarazzi montati sulle spalle, a seconda del tipo di bersaglio, della sua distanza, della disponibilità di munizioni... e offriva di volta in volta al pilota un'alternativa. Questo nuovo modello, apparentemente, non aveva altre armi incorporate che non fossero quei due miseri cannoncini sulle tempie... come poteva suo padre dire che quel Suit fosse addirittura la chiave per la vittoria contro Zeon? Era folle!
Lo Zaku fece un ulteriore passo in avanti. L'istinto di autoconservazione di Amuro lo portò a riprendere il controllo di sé. Sicuramente c'era una ricetrasmittente, nel cockpit, poteva cercare di chiedere aiuto! Era pur sempre a bordo di un importantissimo prototipo... suo padre, i federali, qualcuno avrebbe senz'altro cercato d'aiutarlo!
Attivò la ricetrasmittente laser e la puntò alle spalle dello Zaku, in direzione della saracinesca dello spazioporto. Solo a quel punto s'accorse che, dietro il North Gate, uno dei due hangar frontali della gigantesca astronave ormeggiata all'interno era appena stato aperto completamente.
La ricetrasmittente agganciò un segnale ed emise un “bip”.
Amuro, di scatto, agì sul guadagno e sul volume. Uno strano sibilo fuoriuscì dagli altoparlanti. No, non era un sibilo: sembrava piuttosto l'urlo baritonale e disperato di un adulto che piangeva. Riconobbe la voce di un altro suo vicino di casa: Kai Shiden.
Amuro riportò lo sguardo dalla ricetrasmittente al monitor principale:
Un gigantesco proiettile di colore rosso vivo fu sparato da dentro l'hangar della White Base, dritto alle spalle dello Zaku, investendolo in pieno e proiettandolo a sua volta contro il Gundam.
L'urto spense il monitor principale facendo piombare il cockpit in una parziale oscurità, ma questo non impedì al giovane pilota improvvisato di capire cosa era successo.
Nonostante l'abitacolo fosse assicurato al resto della cellula tramite giunti ammortizzatori e resilienti smorzatori, Amuro avvertì distintamente la drammatica accelerazione causata dall'impatto. Un fiotto di saliva gli sfuggì dalla bocca mentre la vista s'offuscava. Combatté con sé stesso per non perdere i sensi.
Poi, notò che Haro non era più sulle ginocchia, ma galleggiava a mezz'aria.
“Sono stato proiettato al centro della colonia!”, pensò, poi guardò meglio.
Haro non galleggiava... stava lentamente portandosi sul soffitto dell'abitacolo. Troppo, troppo lentamente. E allora il giovane capì. Non era solo assenza di gravità... la forza G stava venendo lentamente ma inesorabilmente sostituita da una costante accelerazione lineare.
Stava precipitando, dal centro della colonia verso la superficie. Un volo di quasi duemila metri diretto verso una superficie rotante...

L'ingegnere Tem Ray era stato ufficiale del Genio della EFGF, la Fanteria della Federazione Terrestre, prima di accettare il lavoro alla Anaheim. Nei suoi anni di gioventù aveva preso parte a diversi conflitti intestini all'Unione, alcuni risolti nello spazio di pochi giorni, altri entro alcune settimane. Mai e poi mai si sarebbe aspettato che in piena Era Spaziale, anzi addirittura già entro il primo secolo in cui essa era stata inaugurata, si potesse scatenare una guerra propriamente detta e così lunga. Otto mesi. Dopotutto, la prima cosa che aveva imparato nei suoi anni di servizio militare era che l'uomo, per quanto intelligente e avanzato, era e restava un animale. E gli animali combattono tra loro per la conquista dei territori. Non é crudeltà, é Natura.
L'altra cosa che si imparava subito nella EFGF era come guidare una jeep nel bel mezzo d'una battaglia. In realtà l'auto in questione non era affatto una vera Jeep, bensì un fuoristrada a propulsione elettrica prodotto dalla Toshiba, sebbene la differenza in termini pratici fosse poca.
Ma la lezione più utile e importante in quel determinato frangente, Tem l'aveva imparata una volta entrato negli stabilimenti della Anaheim Electronics a Von Braun City, sulla Luna. Durante la sua prima settimana, uno dei rail gun elettromagnetici con cui la ditta lanciava i carichi di merci verso la Terra si era disallineato al punto da colpire con uno dei container inviati la torre principale della sede della ditta, decapitandola di quattro dei suoi sette piani. Tem, che si trovava nel livello più basso della zona colpita, quel giorno era rientrato in fretta e furia dopo una, a suo parere, insoddisfacente visita alle catene di montaggio della prima batch di produzione del Guntank. Talmente di fretta era, che si era presentato negli uffici con ancora la Normal Suit indossata.
Tutti i colletti bianchi presenti nell'edificio lo avevano visto e deriso. Qualcuno si era perfino ritratto al suo passaggio, temendo che quella sudicia tuta spaziale potesse in qualche modo rovinare il suo costosissimo completo della Armani di Side 6.
Quei colletti bianchi erano tutti morti, risucchiati nel vuoto dopo che la torre Anaheim era stata colpita da un container contenente un carico di seimila toilette chimiche destinate agli spazioplani di Hong Kong City. Tem Ray era sopravvissuto, infilandosi prontamente il casco spaziale. Da allora, indossava sempre una Normal Suit, quando lavorava lontano dalla Terra.
Per questo, approfittando del cruise control del suo veicolo e concentrandosi solo sul volante e le sterzate, Tem era riuscito al contempo ad indossare sulla tuta spaziale che già lo fasciava i serbatoi d'ossigeno di emergenza, il vernier personale e adesso stava allacciandosi il casco. Meglio essere pronti al peggio, in questi casi. Ma mai si sarebbe aspettato che quel “peggio” lo avrebbe sorvolato per la terza volta, quel giorno.
Per quanto la sua auto corresse diretta a valle verso i due rimorchi coi prototipi rimanenti, un'ombra lo raggiunse e superò, rubando tutta in un colpo la concentrazione che egli aveva finora sapientemente distribuito tra guida e vestizione, facendolo uscire di strada.
Il veicolo elettrico si fermò sobbalzando entro pochi metri dal ciglio dell'asfalto, con una breve derapata e uno stridìo di pneumatici. Tem Ray si alzò in piedi sul sedile per vedere meglio.
Quel che era caduto dal cielo appena cinquecento metri più avanti, esattamente a metà strada tra i due prototipi, era un groviglio di gambe e braccia meccaniche di dimensioni titaniche.
Poi, avvenne la prima esplosione. Tem vide il rimorchio più lontano, alla sua destra, esplodere sollevando una colonna di fuoco alta venti metri.
“No!”, gridò il tecnico, troppo tardi.
La seconda esplosione tardò di appena due secondi. Vide il bagliore vicino, alla sua sinistra. L'onda d'urto fece tremare tutto Side 7, catapultando l'ingegnere al suolo, fuori dall'auto.
Tem Ray si rimise faticosamente in piedi e, prima di vedere, sentì. Riconobbe dal suono i movimenti della sua creatura, il solo figlio di cui andasse veramente fiero.
Al centro delle due colonne di fumo e fiamme, il Gundam si era divincolato dall'abbraccio dello Zaku e di un Guncannon verniciato interamente di rosso. Tem sorrise compiaciuto per l'ennesima dimostrazione di forza della sua creazione. Ma fu solo un attimo.
Lo Zaku riprese a muoversi e, sebbene ancora al suolo, afferrò il Mobile Suit bianco per una gamba.
Il prototipo federale reagì come fosse animato di vita propria, voltò la testa verso il Suit nemico come avrebbe fatto un essere umano in una rissa di strada, sebbene -pensò Tem- gli oltre duecento sensori sparsi su tutto il corpo permettessero alla macchina di vedere in ogni direzione senza necessariamente muovere il capo. Poi, il Gundam portò la mano sinistra ad una delle due appendici cilindriche che fuoriuscivano dalle sue spalle, mentre con la mano destra afferrò la testa dello Zaku spingendola da parte e costringendolo a esporre il torace.
Tem realizzò quello che stava per succedere, impallidì all'istante, si lanciò sull'auto e afferrò un commlink portatile, orientandone il laser verso il suo adorato prototipo. Verso il suo capolavoro. Verso la macchina meravigliosa che, a meno che non avesse agito per tempo, avrebbe certamente causato la sua dipartita.

“Non mi piace per niente!”, si lasciò sfuggire Char osservando la scena dall'alto dello spuntone di roccia ricavato davanti al portello di servizio interno del South Space Gate.
Il suo binocolo elettronico era dotato di uno zoom digitale con un potente software di ricostruzione dell'immagine integrato, basato sulla natura degli oggetti circostanti. Poteva ricostruire con buona approssimazione l'aspetto di oggetti lontanissimi, magari composti di pochi pixel, a partire da quello che era più logico che essi fossero. Grazie ad esso, Char era riuscito ad inquadrare i due minuscoli proiettori al laser fuoriusciti dal ventre del Gunperry. Lo scopo di quegli strumenti era normalmente inviare e ricevere segnali di soccorso in ambienti il cui la densità delle particelle Minovsky non consentisse l'utilizzo delle onde elettromagnetiche ma, come Char sapeva bene, il segnale da essi trasmesso era programmabile. E il fatto che l'aeromobile indugiasse nelle vicinanze di ciò che restava dei due trailer che trasportavano i prototipi, piuttosto che virare verso lo spazioporto nord e la salvezza, poteva avere solo due spiegazioni: o da quelle parti c'erano ancora dei sopravvissuti, oppure era possibile comandare a distanza gli ordigni che lui stesso aveva visto sui rimorchi. La prima ipotesi non lo disturbava più di tanto... la seconda rischiava di mandare a monte quella che poteva rivelarsi l'operazione militare più importante compiuta dal Principato fino a quel momento, perfino più di Loum. Non poteva permettersi di perdere quell'occasione così ghiotta e così inaspettata. Si voltò verso lo Zaku di Slander, che lo sovrastava in posizione di tiro e poggiò una mano sul suo scafo per attivare l'interfono a sfioramento.
“Slander, hai una soluzione di tiro su quell'aviotrasporto federale?”, chiese. Non sarebbe stato possibile immaginare altrimenti, ma la Cometa Rossa aveva avuto già fin troppe spiacevoli sorprese circa l'effettiva preparazione dei suoi uomini, quel giorno.
“Affermativo, Comandante”, rispose esaltato Slander.
“Grazie al cielo!”, pensò Char, ma disse piuttosto: “Abbattilo!”
“Signore!”, fu la sola risposta di Slander. Nessun colpo. Char ci mise un po' a capire che quel “signore!” non era un assenso all'ordine impartito, ma un goffo tentativo del giovane sottufficiale per richiamare la sua attenzione. Si voltò.
Qualcosa aveva investito sia lo Zaku di Denim che il Mobile Suit bianco, spingendoli oltre il dirupo. Char seguì esterrefatto la lenta parabola dovuta all'iniziale riduzione della velocità, seguita dalla sempre più veloce discesa in verticale. Vide i vernier montati lungo il corpo del prototipo federale lanciare brevi vampate di gas surriscaldati, nel tentativo di correggere la traiettoria.
“Non ce la farà mai”, pensò Char. Ristabilì il contatto con Slander.
“Lancia il segnale di ritirata, dobbiamo uscire di qui prima che...”
Un'esplosione lo interruppe. Poi, un'altra poco più in là. Due alte colonne di fiamme si innalzarono verso il centro della colonia, producendo strani giochi di fumo e luci.
“...prima che la colonia collassi!”, finì Char.

L'impatto fu così devastante che Amuro, per un attimo, dubitò che il sopravvivergli sarebbe stato la migliore opzione. Sei airbag si estesero dai lati del seggiolino del pilota e dal centro della consolle di comando per bloccarlo e proteggerlo: le minicariche esplosive che ne comandavano l'apertura lo assordarono, l'improvvisa estensione dei cuscini, che lo colpirono come una valanga di pugni, gli spezzò il fiato e fece sanguinare il naso. Adesso, Amuro capiva perché le tute dei piloti di Suit avevano dei rinforzi in kevlar. Gli effetti del rinculo di una caduta che nessun ammortizzatore al mondo avrebbe mai potuto smorzare si sommarono ai precedenti: tutti gli oggetti contenuti nell'abitacolo volarono in tutte le direzioni: Haro rimbalzò su tre pareti prima di terminare il suo volo contro uno degli airbag ormai già sgonfio a metà.
Dopo qualche secondo di stasi totale, il cockpit riprese ad ondeggiare nuovamente, seppure in maniera più controllata. Il monitor principale si riaccese, rendendo la situazione più chiara.
“Si sta rimettendo in piedi da solo!”, notò sorpreso il giovane pilota dopo una rapida occhiata.
Un pesante volume piombò con lo spigolo della costola sul capo di Amuro, quindi gli atterrò aperto sulle ginocchia. Il ragazzo soffocò una bestemmia strofinandosi la fronte dove già l'ennesimo bernoccolo stava formandosi, poi abbassò lo sguardo sul proiettile che lo aveva colpito: un manuale di pronto utilizzo del suit.
Era aperto alla pagina “Selezione delle Armi”.

L'impatto dopo una lunga caduta era l'argomento della terza lezione di pilotaggio di Mobile Suit, ricordò Denim mentre riprendeva la normale posizione di pilotaggio dopo essersi accovacciato per limitare i danni. Quando la sua vista annebbiata dagli effetti dei g negativi fu in grado di rimetterli a fuoco, i display mostravano il suo avversario che lo sovrastava, già rigido in piedi. Troppo rigido.
“Il Suit sa rimettersi in piedi automaticamente”, capì Denim, “ma il pilota non lo sta governando!”. Forse l'uomo all'interno aveva perso i sensi, forse era addirittura morto per la caduta. Di certo, non stava agendo sui comandi della macchina. Un'occasione ghiotta contro quel mostro, finalmente. Denim agì sulla leva che comandava il braccio destro del suo Zaku.

L'impatto non fu rovinoso come Kai si sarebbe aspettato. Una serie di airbag si estese impedendogli di andare a sbattere contro i molti spigoli vivi presenti nell'abitacolo. Quando i cuscini si sgonfiarono e lo liberarono, le cinture di sicurezza presero a stringere al punto che si sentì cogliere da un senso di nausea. Si accorse che i suoi capelli erano dritti sulla sua testa e provò a rimetterli al loro posto pettinandoli con le mani ma, appena smise, essi tornarono dritti. Ci riprovò, ottenendo lo stesso risultato. Si passò le mani sulla testa con insistenza una terza volta, senza migliore fortuna, e allora finalmente capì.
“Cavolo”, pensò ad alta voce, “sono a testa in giù!”

Char afferrò al volo la mano del sergente Cozun per aiutarlo ad atterrare. Lo Space Gate sud era sito quasi al centro del cilindro che costituiva Side 7, pertanto la gravità era assai ridotta rispetto ai settori più periferici. Le esplosioni della battaglia sembravano inoltre aver in qualche modo variato l'assetto della Colonia Spaziale, rallentandone la rotazione e riducendo così l'accelerazione centrifuga che forniva la gravità all'insediamento.
“Notizie di Gene?”, domandò il Maggiore. Cozun scosse tristemente la testa, facendo intendere che sì, lo aveva visto... ma non c'era stato nulla da fare.
Char annuì e indicò il robusto cavo metallico munito di maniglie che era stato esteso dal polso dello Zaku di Slander.
“Sergente, controlla che gli uomini feriti siano assicurati alla towing rope, i più gravi per primi, gli altri a seguire. Tu prendi il penultimo punto di ancoraggio, lascia l'ultimo per me. Evacuazione al mio segnale!”
“Non sarebbe più sicuro se lei si rifugiasse nel cockpit con Slander, comandante?”, chiese Cozun.
“No.”, rispose Char sorridendo e tornando ad osservare il campo di battaglia attraverso il suo binocolo digitale, “non voglio perdermi nemmeno un secondo di questa faccenda!”.
Al centro del visore, il Gundam si stagliava in piedi mentre lo Zaku di Denim, ancora a terra, lo afferrava per una gamba.

Amuro scorse rapidamente le righe e i diagrammi sul manuale. Non ebbe tempo per soffermarsi e pensare che quello era il primo testo in formato cartaceo che leggeva in vita sua. Gli e-book erano una realtà da secoli, ormai, ma nel bel mezzo di una battaglia non c'era niente di meglio di un manuale stampato alla vecchia maniera per rinfrescare ai piloti le procedure d'emergenza. Se non altro, in caso di blackout, il manuale di carta non si resettava.
Amuro premette un primo selettore. Su un angolo dello schermo principale apparve la scritta “Beam Sabres in charge”, accanto ad un istogramma che passò rapidamente da 0 a 100%.
La scritta cambiò in “Beam Sabres ready”.
Amuro consultò il passo successivo della guida. Fece per premere un secondo tasto, ma il cockpit riprese ad ondeggiare paurosamente. Il giovane spostò la sua attenzione sullo schermo di sinistra:
Lo Zaku, ancora al suolo, lo aveva afferrato e cercava di tirarlo giù. Un allarme suonò dentro il cockpit e la voce sintetica del computer di bordo tornò a farsi sentire:
“Minaccia esterna rilevata, agire autonomamente con l'arma corrente?”
Amuro, senza pensarci un attimo, manovrò in avanti la cloche di destra, quindi premette il grilletto su quella di sinistra.

“Amuro, Amuro, fermati!”, gridò Tem Ray al commlink che stringeva nella mano sinistra, mentre con la destra indirizzava il sensore laser del ricetrasmettitore dritto verso l'apparato equivalente del Gundam, una sorta di lingua metallica rossa posta sul mento del Mobile Suit.
Non ottenne nessuna risposta. Evidentemente suo figlio aveva attivato un po' di tutto in quella macchina fenomenale, tutto eccetto gli apparati di comunicazione... il suo sguardo cadde sul cofano anteriore della jeep. Probabilmente nell'uscire di strada, il cavo che collegava l'apparato ricetrasmittente al proiettore laser si era per qualche motivo staccato.
Stavolta, Amuro non c'entrava niente.
Tem lasciò cadere il commlink mentre tornava a osservare basito il gigante bianco di sua creazione mentre questi staccava l'appendice cilindrica che sporgeva dalla sua spalla sinistra, la puntava in alto e attivava, facendone fuoriuscire una lama di densa luce rossa lunga circa dieci metri.
Tem si lasciò cadere sul sedile della jeep, mise in moto e, con uno stretto testacoda, iniziò la sua corsa disperata nel tentativo di salvarsi la vita.

“Qui si mette male!”, si lasciò sfuggire Char. Al centro del mirino del suo binocolo digitale, il prototipo federale impugnava una lama di luce rossastra con la mano sinistra mentre con la destra spostava il corpo dello Zaku di Denim per garantirsi uno spazio in cui infierire il colpo di grazia.
“Comandante, vede quello che vedo io?”, gli chiese per via interfonica il giovane Sergente Slander.
“Affermativo, Slander, se hai il bersaglio quello che voglio é un tiro singolo. Uno solo! Denim dovrà farselo bastare!”

Kai sapeva di non essere certo un cuor di leone, ma se c'era un pregio che gli avevano sempre riconosciuto era che non si abbatteva facilmente. Anche adesso, appeso a testa in giù nella semioscurità, legato nell'abitacolo di una macchina che non conosceva, la sua mente lavorava febbrilmente a quello che era ormai il suo motto:
“Non importa dove mi trovo, l'importante é uscirne con le mie gambe!”
La prima cosa che provò fu aprire il portello per uscire. Le manovre erano identiche a quelle dei normali caccia federali e lui le eseguì prontamente e a menadito, dopotutto era la prima cosa che insegnavano e quella che lui aveva imparato meglio. Sul monitor principale, nero fino a quel momento e che Kai era sicuro fosse in tilt, apparve il messaggio “Error: Hatch Obstructed”, seguito da un suono che somigliava vagamente ad una pernacchia.
Kai sbuffò, ma il suo cervello si era già rimesso in moto.

Bright osservò, dall'alto della rupe del North Space Gate la scena che si consumava due chilometri più in basso: due colonne di fuoco, prodotte da due esplosioni che avevano scosso la colonia come un vero terremoto, si erano innalzate laddove prima c'erano i due rimorchi che trasportavano i preziosissimi prototipi... e, al centro di esse, il solo Gundam superstite era impegnato in una battaglia che non sembrava essersi ancora conclusa con l'ultimo dei due Zaku. Bright vide la lama di luce uscire dall'elsa impugnata dal Mobile Suit bianco e capì che il tempo stringeva.
Il vento s'alzò tutt'intorno mentre il Gunperry lo sorvolò. Bright si voltò verso i suoi uomini in attesa lungo la soglia della saracinesca di accesso allo spazioporto.
“Concluso il recupero del Gunperry, chiudete tutto e preparate la White Base per il decollo! Side 7 é condannato!”

Kai si grattò la testa e fece mentalmente l'inventario delle cose che non andavano. Il portello era bloccato, okay, quindi o il suit era disteso su di esso, o qualcos'altro era adagiato sopra il suit. Il monitor principale era buio, però funzionante, quindi la telecamera principale era ostruita da qualcosa. I possibili motivi restavano gli stessi, ma qualcosa sulla testa di Kai faceva propendere per un'ipotesi più che per l'altra.
“Porca vacca, sono praticamente atterrato sulla faccia!”, pensò Shiden, mentre eseguiva l'unica altra manovra possibile per sincerarsi della situazione esterna: attivare la telecamera posteriore.

Amuro prese il controllo della mano sinistra del Gundam, quella che impugnava la Beam Sabre, e lo trasferì alla leva sinistra. Quindi, la spinse in avanti con tutta la sua forza.

Char alzò il braccio cosicché Slander potesse vederlo. Poi, lo fece cadere, ordinando allo Zaku di fare fuoco.

Tem Ray guardò nel retrovisore e vide il Gundam che abbatteva la lama di energia dritta nel torace dello Zaku che lo teneva bloccato ma, prima che il colpo fosse inferto, uno spostamento d'aria sollevò un nuvolone di polvere.

Slander vide il braccio del Maggiore Char Aznable ricadere, ordinandogli il fuoco. Esitò per un solo istante, controllando che il mirino collimasse perfettamente col bersaglio. Ma una densa nuvola di polvere s'alzò improvvisamente attorno ai due Mobile Suit in lotta, portandoli fuori dalla visuale.

Bright scappò dentro il Gate dello spazioporto, a pochi metri dalla piattaforma dove il Gunperry era appena atterrato. Il Sottotenente Ryu José chiuse la saracinesca con la manovra d'emergenza non appena il giovane collega fu rientrato.

La nube di polvere rendeva impossibile distinguere lo Zaku di Denim dal prototipo federale. Slander allontanò l'indice dal grilletto all'ultimo momento e gridò all'interfono: “Comandante Char, non ho più contatto visivo!”

Dieci secondi prima, quando Kai aveva acceso la telecamera posteriore del Guncannon, quello che aveva visto non gli era piaciuto: un Mobile Suit bianco che non aveva mai visto in vita sua svettava a, sovrastandolo, al centro del monitor, con uno strano fascio di densa luce rossa in mano... un fascio che adesso sembrava stesse abbattendo su di lui. Preso dal terrore, l'ex-pilota premette contemporaneamente entrambe i pedali, che in una situazione normale avrebbero comandato i propulsori montati sulla schiena del Suit, nel tentativo di volare via. Il Guncannon vibrò e tremò, ma inizialmente non si mosse di un solo millimetro. In compenso, una densa nube di polvere si levò, oscurando anche l'ultima telecamera.

Char trattenne il fiato per un istante che sembrò eterno, poi la nube di polvere si diradò, portata via da uno strano mobile suit rosso che strisciò e rimbalzò disordinatamente sul terreno per quasi mezzo chilometro. La schiarita rivelò il Mobile Suit bianco che impugnava con entrambe le mani la sua lama a raggi, infilzandola pesantemente nel torace dello Zaku di Denim. Il binocolo elettronico gli cadde di mano e giù lungo la scarpata, ma il Maggiore non ebbe il tempo di dannarsi per le numerose foto perdute. Il suo pensiero corse per un istante alla ragazza bionda incontrata quella mattina. Poi, lo spirito di sopravvivenza e l'attaccamento alla sua segreta missione ebbero il sopravvento. Si voltò verso i suoi uomini, afferrò l'ultima maniglia disponibile sulla towing rope e gridò: “tutti via di qui, presto!”

Amuro, a corto di fiato e con la fronte imperlata di sudore, osservò attraverso il monitor principale le due mani del Gundam che tenevano la Beam Sabre saldamente piantata al centro del torace dello Zaku. Vide la mano del mobile suit di Zeon che, a corto di energia, perdeva la presa su di lui e cadeva inanimata al suolo. L'angolo destro delle sue labbra fece per stendersi in un sorriso, ma fu solo un attimo. Un nuovo evento attirò la sua attenzione, già messa a dura prova troppe volte quel giorno: il fascio di megaparticelle che costituiva la lama della sciabola iniziò a brillare in modo intermittente, poi a piegarsi quasi ad angolo retto rispetto alla direzione naturale. Una piccola lampadina nella cultura accademica del giovane si illuminò improvvisamente per spiegare il fenomeno, con una brutta notizia:
“Una variazione del campo magnetico”, pensò ad alta voce Amuro, “il reattore di questo suit sta per esplodere!”
Senza pensarci e senza bisogno di consultare il manuale, premette forte su ambo i pedali che controllavano i propulsori vernier.

La jeep di Tem Ray corse lungo il viadotto che portava al North Space Gate. L'ingegnere alternava la sua attenzione tra la strada e lo specchietto retrovisore, nel quale riusciva ancora a vedere occasionalmente scampoli dell'epilogo del primo combattimento del suo adorato prototipo. Sorrise allorché la nuvola di polvere si diradò, mostrando il Gundam vittorioso che trafiggeva il secondo suit di Zeon... sorrise, nonostante sapesse bene cosa quell'attacco avventato avrebbe comportato... sorrise, nonostante nell'abitacolo di quella macchina apparentemente condannata ci fosse suo figlio. Poi, riportò l'attenzione sulla sua destinazione, la saracinesca del Gate Nord che, notò, si stava lentamente chiudendo. Voleva dire che la White Base era in procinto di decollare, di abbandonare Side 7. Un'imprecazione gli sfuggì dalle labbra mentre quell'ennesima distrazione gli costava la tenuta di strada: l'ultima curva prima della rampa finale lo coglieva inaspettato. La jeep uscì di strada e Tem dovette combattere arduamente col volante per evitare che il veicolo si ribaltasse.

Char, aggrappato al cavo da traino di emergenza assicurato allo Zaku di Slander, osservò il cilindro che costituiva la colonia spaziale di Side 7 man mano che se ne allontanava. Nonostante la feroce battaglia consumatasi all'interno, dallo spazio esterno tutto pareva quieto e tranquillo. Ma sapeva bene che le cose sarebbero cambiate nel volgere di pochi istanti. Quando, finalmente, vide una piccola stella illuminare lo scafo della colonia seppe che l'inevitabile si era compiuto. Attivò il contatto a sfioramento con Slander.
“Slander, contatta Dren col circuito laser, voglio che qualunque cosa somigliante ad un Mobile Suit fuoriesca dalla falla di Side 7 venga catalogata e localizzata... e fai lanciare il mio Zaku con armamento ed equipaggiamento di tipo Charlie-Sierra!”, ordinò.

Amuro lottava con le leve di comando laterali e la cloche centrale, i pedali del Jetpack e quelli dei vernier secondari, il manuale cartaceo e Haro che volavano da un lato all'altro della cabina, cercando disperatamente di mantenere la quota. Sul monitor principale, il foro creato sulla superficie di Side 7 si avvicinava sempre più... anche se era chiaro che era il Gundam ad andargli incontro, risucchiato dalla decompressione in atto all'interno della colonia. Vicino, sempre più vicino. In un attimo vi fu dentro. Il computer di bordo percepì la riduzione di gravità in atto e sentenziò: “Gravità in diminuzione, caricamento automatico programma AMBAC”.
Amuro sospirò di sollievo, il sistema AMBAC avrebbe autobilanciato il mobile suit una volta fuori dalla colonia, permettendogli di muoversi nello spazio e rientrare dentro Side 7 attraverso uno dei portelli di servizio. La comunicazione di sistema successiva gli gelò il sangue:
“Errore di sistema, software di controllo AMBAC non installato correttamente!”

Tem Ray si aggrappò al volante della jeep con la mano sinistra, curando di bloccare con la destra la tenuta stagna del casco spaziale sul colletto della normal suit. L'auto iniziò a vibrare e muoversi ortogonalmente alle ruote.
L'ingegnere fece appena in tempo ad aggrapparsi al volante anche con la seconda mano, prima che il veicolo fosse sollevato dall'esplosiva forza di decompressione e risucchiato nello spazio attraverso la falla nello scafo di Side 7. Attraversandolo, Tem vide alberi, veicoli e cadaveri che venivano risucchiati parimenti... poi, la jeep urtò il Gundam e deviò il suo volo, andando a conficcarsi dritta dritta sul bordo esterno della colonia.

Amuro vide pian piano tutti i vari oggetti posti all'interno della cabina iniziare a galleggiare attorno a lui: Haro, il manuale, le cinghie d'emergenza, perfino quel che rimaneva degli airbag ormai sgonfi. Poi un urto micidiale attraversò il cockpit facendolo vibrare. Improvvisamente, tutto quello che fluttuava gli cadde addosso. Si coprì il viso con le braccia per proteggersi dagli urti e, quando quella pioggia di proiettili fu finita, riaprì gli occhi e guardò nel monitor principale: un Guncannon interamente verniciato di rosso era al centro dell'inquadratura, saldamente aggrappato ai bordi lacerati del foro... si reggeva con una mano e i piedi, mentre l'altra aveva afferrato con presa sicura il braccio destro del Gundam.

Kai non sapeva davvero com'era successo ma, dopo essere stato risucchiato nella falla, si rese conto che il suo Guncannon era rimasto incastrato nel bordo della colonia, infilatovi per tutta la lunghezza delle gambe e fino alla cintola. Tentò qualche manovra di base per riavviare i motori, senza esito. Poi, qualcosa lo urtò violentemente.
Sentì lo scafo del suit che riprendeva indiscutibilmente a muoversi, a rotolare lungo la falla come fosse rimasto impigliato ad un qualche detrito di grosse dimensioni che lo aveva strappato a quella trappola di metallo solo per gettarlo nello spazio. Si sentì morire, scavò nel profondo dei ricordi per verificare se ricordava una qualche preghiera tramandatagli dalla nonna originaria di Porto Rico...
“Gravità in diminuzione, AMBAC attivato!”, disse una voce sintetica in cabina.
Con un altro scossone, lo scafo trasmise la calda sensazione della stabilità... qualunque cosa fosse l'AMBAC, Kai lo benedisse dal profondo del suo cuore vedendo sui monitor che la sua posizione all'interno del gigantesco foro era stabile.
Poi, ondeggiando a causa della scarsa gravità, il braccio destro del Guncannon entrò in inquadratura. Incastrato alla fine di esso, c'era il mostruoso Mobile Suit bianco che lo aveva terrorizzato con la sua lama di luce pochissimi minuti prima.
Kai tremò, e fece un salto isterico quando una voce parlò alla radio:
“Non so chi tu sia, amico, ma ti ringrazio per avermi afferrato!”
“Questo idiota pensa che l'abbia fatto apposta!”, pensò Kai.
Poi, guardò il mostro bianco più attentamente. Federale, non c'era dubbio. Probabilmente un modello molto avanzato e costoso. Forse, perfino un prototipo ultrasegreto.
Se i federali volevano proprio credere che lui l'avesse salvato deliberatamente, beh...
“Non c'é problema, bello”, rispose alla radio, “tieniti stretto, che ti tiro su!”

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Re: Gundam: Suit You Up!

Messaggio da Bright » 12/12/2014, 15:59

EPILOGO

Il sottotenente Noah Bright rimase accanto al letto del Comandante Paolo Cassius finché i sedativi non fecero effetto e l’anziano ufficiale si addormentò.
“Non c’è molto che si possa fare, al momento”, disse mestamente il sergente Sunmalo, unico infermiere autentico a bordo di quella finta nave ospedale che era la White Base, “Possiamo solo sperare che su Luna 2 abbiano un’equipe medica di prim’ordine, e che le sue condizioni non peggiorino durante il viaggio”
“Sempre se riusciremo mai a intraprenderlo, questo viaggio!”, rispose frustrato Bright, e subito se ne pentì notando l’improvvisa occhiata di terrore lanciatagli dalle nuove arrivate.
C’erano due civili, in infermeria, due giovani donne. La prima, una ragazza dai capelli castani sui sedici anni, era riuscita a raggiungere la nave dietro consiglio di Amuro Ray, il figlio dell’ingegnere della Anaheim adesso ai comandi del Gundam. Aveva tratto in salvo una bambina di appena quattro anni e adesso si stava dando da fare come aiuto infermiera, forte di un corso di Pronto Soccorso mai ultimato. L’altra era la donna che aveva recuperato e riportato alla base il povero Comandante Cassius dopo lo scontro a fuoco con Char, una ragazza bionda dall’aspetto fine ma dai modi estremamente determinati. Prima di lasciare l’infermeria, Bright si rivolse a quest’ultima:
“Grazie per averlo salvato”, le disse.
“Potevo fare altrimenti?”, rispose lei guardando nel vuoto, come presa da pensieri ben più grandi.
“Altri avrebbero pensato a salvare solo la loro, di pelle, sergente Sayla Mass…”, rispose pacato il giovane ufficiale osservandola trasalire e degnarlo finalmente d’attenzione.
“Temo che avremo bisogno di approfittare del suo talento di operatore alle telecomunicazioni almeno fino al nostro arrivo a Luna 2, per cui la reintegro in servizio con effetto immediato, intesi?”, continuò.
Sayla abbassò lo sguardo, non per manifestare inferiorità, non gliene poteva importar meno in quella situazione, ma perché i suoi pensieri l’avevano assalita di nuovo. Bright male interpretò questa condotta remissiva.
“Bene, l’attendo in plancia tra cinque primi, se non sa dove si trova prenda l’ascensore e segua le indicazioni”, concluse l’ufficiale facendo per uscire attraverso la porta scorrevole.

La porta dell’ascensore si riaprì sul Ponte Hangar e Bright uscì e s’affacciò alla passerella, contemplando dall’alto il triste lascito del Comandante Cassius: tre mobile suits, una manciata di veicoli, nessun vero pilota a parte Ryu Josè. La sua attenzione si fermò su quest’ultimo. Era infilato per metà nell’abitacolo di un Guntank, impegnato a spiegare le basi del pilotaggio ad un ragazzino, un giovane profugo di Side 7, basso di statura e dai tratti spiccatamente orientali.
“Che diavolo stai facendo?!”, la voce di Kai echeggiò nell’hangar attirando l’attenzione di tutti, Bright compreso, sul Guncannon che il povero Sergente Omur stava tentando di riverniciare nella prevista livrèa grigia a bassa osservabilità.
“Questa, se mai deciderò di scendere ancora in battaglia, sarà la MIA unità, con i MIEI colori, che portano fortuna a ME!”, aggiunse Kai sbraitando, “Per cui tu la lascerai esattamente com’è: testa grigia, corpo rosso!”
Omur sbuffò e raccolse il suo verniciatore spray portatile.
“Fammi almeno scrivere in bianco il numero identificativo, barone rosso, altrimenti la prossima volta che ‘scenderai in battaglia’ invece che atterrare sulla pancia potresti essere scambiato per Char e venire falciato dal Gundam!”, rispose il meccanico, tra il sarcastico ed il frustrato.
Già, il Gundam, altro bel problema.
Bright lo osservò sullo spot numero 1 dell’hangar, proprio accanto alla catapulta per il lancio. Lo stavano rifornendo e riarmando, mentre l’upload dei driver per il combattimento in assenza di gravità era già stato ultimato. Amuro giaceva seduto ai piedi del colosso bianco, a gambe incrociate, con Haro in grembo. Sbuffava.
“Ho una notizia buona e una cattiva, tenente!”, disse un giovanissimo sottufficiale dai capelli biondi, rivolgendosi a Bright e distogliendolo dalle sue osservazioni.
“Prima la cattiva, Sergente Job”, rispose.
“Nel forzare il blocco di sicurezza dell’RX-78, Amuro ha usato un pet-bot, uno di quei robot di compagnia che, tra le altre cose, leggono i bioritmi del padrone. La nuova chiave di blocco è stata impostata coi bioritmi del figlio del professor Ray, forse inavvertitamente…”
“Per cui, adesso, il prototipo può essere usato solo da lui?”, interruppe nervosamente Bright.
“Esattamente”, ammise Job John.
“E non si può forzarla di nuovo, in qualche maniera?”, chiese Bright.
“Servirebbe un comando vocale da parte del Professor Ray, ma risulta disperso. Lo abbiamo cercato ovunque, senza risultato”
“E forzarlo col computer?”, insistette l’ufficiale.
“Si può fare in pochi minuti… a Jaburo! Coi computer della White Base, per compilare un trojian adatto servirà almeno una settimana di elaborazioni e prove…”
“Una settimana!”, sbottò Bright, infuriato, “quale sarebbe la notizia buona, in tutta questa tragedia, Job?!”
Il sergente porse un fascicolo al giovane ufficiale. Bright lo aprì, perplesso.
“Amuro Ray ha affrontato una simulazione su Guncannon questa mattina”, sospirò Job John, “ha evitato accuratamente l’attacco di un MS-06S, peraltro infliggendogli danni di classe media!”
“Un MS-06S?”, chiese sorpreso Bright alzando gli occhi dal fascicolo e squadrando il sottufficiale.
“Esatto”, rispose solenne questi, “La simulazione era basata su Loum… quel ragazzino ha evitato e colpito una versione virtuale dello Zaku di Char Aznable!”
“Non è possibile!”, disse Bright.
“Lo pensavo anche io”, rispose Job John spostando lo sguardo da Bright ad Amuro, “Ma ho controllato e ricontrollato la registrazione… quel ragazzino è il primo ad essere sopravvissuto a quella simulazione!”
Bright si morse un labbro.
Char!
Amuro, seppure in una simulazione, aveva colpito Char con un vecchio Guncannon. Uscendone indenne.
Char, la Cometa Rossa!
Colui il quale, adesso, li stava aspettando fuori da Side 7.
“Finite di armare il Gundam”, disse infine Bright, riconsegnando il fascicolo e girando sui tacchi.
“Tra quanto decolliamo?”, chiese Job John.
“Non appena avrò trovato qualcuno in grado di pilotare questa nave!”, rispose Bright entrando nell’ascensore di servizio.

Le porte scorrevoli si aprirono e Bright entrò in plancia. Teneva il capo chino come se i suoi dubbi e le sue preoccupazioni si fossero trasformate in un fardello pesantissimo ma invisibile che gli era stato poggiato sul collo. Il sergente Marker gli andò incontro, seguito da una ragazza in abiti civili.
L’attenzione di Bright fu subito catturata: pur se di origini britanniche, Noa era nato e cresciuto a Hong Kong, ultimo rampollo di una famiglia di diplomatici ormai in rovina. Cresciuto in mezzo agli orientali, non era certo strano che fosse attratto dalle donne di quelle etnìe. La ragazza sembrava poco più giovane di lui, coi capelli neri ordinati in un pratico caschetto, il viso spiccatamente giapponese nella carnagione e nei tratti che contrastava con l’abbondanza di curve su un corpo minuto. Lo sguardo di Bright non sfuggì alla donna, che arrossì facendolo arrossire a sua volta.
“Tenente Bright, miss Mirai Yashima, chiedeva di poterle parlare.”, disse Marker.
“Ero stato informato presenza a bordo di un esponente del clan Yashima”, esordì imbarazzato Bright, “ma, nella situazione attuale, temo di non poterle garantire alcuna sistemazione degna del suo lignaggio, signorina.”
“Non era per questo”, sorrise lei parimenti imbarazzata, “so che avete perso il vostro pilota… ecco, io sono un pilota…”
Ci mancava solo questa, pensò Bright, una principessina aristocratica e femminista che vuol giocare a fare l’eroina. Tuttavia, gli Yashima erano troppo importanti e potenti per arrischiarsi ad offendere anche solo velatamente uno di loro.
“Miss Yashima”, sorrise Bright, “che genere di brevetto possiede?”
“SpaceGlider, tutti i modelli”, rispose sicura Mirai.
“Lo SpaceGlider?”, sbottò Bright in una risata nervosa rivolgendosi a Marker, “Uno shuttle per uso sportivo?”
“Non… non è esatto…”, rispose imbarazzato Marker
“Sono Shuttle acrobatici”, puntualizzò Mirai.
Marker si sistemò gli occhiali sul naso e annuì.
Bright guardò Mirai sotto una nuova luce. Tirò le somme.
Una pilota acrobatica. Un giovane talento ai comandi di un potentissimo Mobile Suit sperimentale. Una nave spaziale dalle capacità ancora ignote al nemico.
Luna 2 era a sole quattro ore di volo. Forse, la situazione lasciata da Cassius non era poi così disperata. Forse, forse, ce la potevano fare.
“Vada al timone”, disse gentilmente Bright a Mirai mentre prendeva un microfono dalla poltrona di comando, poi avvicinò questo alla bocca:
“A tutti dall’ufficiale in Comando, Posto di Manovra Generale, primo grado d’approntamento, primo stato di sicurezza, attivare tutti i canali di comunicazione, gli uomini liberi dalle manovre di decollo raggiungano i posti di combattimento, Mobile Suit pronti allo scramble!”

FINE

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Re: Gundam: Suit You Up!

Messaggio da Franius » 12/12/2014, 16:21

Ok, appena ho un attimo di tempo me lo voglio leggere.
Sono proprio curioso di vedere come hai risolto i "problemi" di cui parlavi nel primo post...

:-)

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Re: Gundam: Suit You Up!

Messaggio da Bright » 12/12/2014, 18:18

Franius ha scritto:Ok, appena ho un attimo di tempo me lo voglio leggere.
Sono proprio curioso di vedere come hai risolto i "problemi" di cui parlavi nel primo post...

:-)
"Risolto" é un parolone, diciamo che ci ho messo una pezza...

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Re: Gundam: Suit You Up!

Messaggio da RX-78 PUGLIA » 13/12/2014, 12:39

Hai pronte altre fan fiction?

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